Un recente studio internazionale coordinato dall’Università di Göteborg (Svezia), con campioni provenienti anche da Spagna e Australia, ha rivelato una scoperta sorprendente: i neonati sani, soprattutto i prematuri, presentano nel sangue valori di p‑tau217 più elevati persino rispetto a quelli riscontrati nei pazienti con Alzheimer avanzato.
La malattia dell’oblio
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L’Alzheimer è una malattia della memoria ed un processo insidioso di disorganizzazione del sé. La patologia porta ad una lenta e progressiva erosione delle funzioni cognitive che custodiscono l’identità. È la forma più comune di demenza che coinvolge non solo il cervello, ma l’intero tessuto relazionale, affettivo ed esistenziale della persona. A livello biologico, la malattia è segnata da due fenomeni principali: Accumuli di beta-amiloide, che formano placche extracellulari e interrompono la comunicazione tra neuroni. Agglomerati di tau iperfosforilata (i “grovigli neurofibrillari”), che distruggono dall’interno il citoscheletro dei neuroni.
Esistono varie forme di Alzheimer. In alcuni rari casi sono genetiche e precoci. In altri altrettanto meno frequenti sono forme sporadiche che esordiscono lentamente, spesso scambiate per normale invecchiamento. Il sintomo iniziale più noto è la perdita della memoria episodica, ma a poco a poco si spezzano anche il linguaggio, il senso dell’orientamento, il riconoscimento, la capacità di giudizio, l’affettività.
L’ Alzheimer non colpisce solo chi ne è affetto, ma anche chi lo circonda
L’Alzheimer è una malattia relazionale, che destruttura i legami affettivi. La persona amata resta lì, ma non “riconosce” più chi lo circonda e chi la ama deve imparare a tenere insieme la presenza e l’assenza. Nonostante le recenti speranze offerte da farmaci che agiscono sulla beta-amiloide (come i nuovi anticorpi monoclonali), la scienza sta iniziando solo ora a cogliere la complessità multifattoriale del morbo: infiammazione, metabolismo, microbiota, sistema immunitario, vulnerabilità vascolare e persino fattori ambientali contribuiscono a costruire un mosaico patologico ancora parzialmente oscuro.
Cos’è la p‑tau217 e perché è rilevante
La p‑tau217 è una forma fosforilata della proteina tau, fondamenta delle microtubuli neuronali. È considerata un marcatore precoce e sensibile dell’Alzheimer: livelli ematici elevati sono associati alla formazione delle famigerate tau-tangle e al declino cognitivo.
Recentemente, un test approvato dalla FDA, basato sul rapporto tra p‑tau217 e beta‑amiloide 1‑42, ha ufficializzato l’importanza di questo biomarcatore nella diagnosi clinica.
Un comportamento diametralmente opposto: danno nell’adulto, sviluppo nel neonato
Lo studio su oltre 400 soggetti ha rilevato livelli di p‑tau217 altissimi nei neonati, specialmente nei prematuri. Già in diminuzione nei primi mesi, fino a livelli adulti bassi e di nuovo in crescita nelle persone con Alzheimer. Nei neonati, questo surplus di p‑tau217 non provoca danni: al contrario, sembra stimolare la formazione delle connessioni neuronali, favorendo uno sviluppo cerebrale sano.
Le implicazioni per la ricerca
Il cervello infantile quindi tollera l’eccesso di p‑tau217 senza subire danni. Sarebbe allora interessante capire come ciò potrebbe offrire nuove chiavi per terapie innovative, studi longitudinali e sperimentazioni farmacologiche per la malattia di Alzheimer.