aborto

Si attesta tra i più bassi a livello internazionale il tasso di aborto italiano. Secondo quanto riporta la Relazione annuale al Parlamento sull’interruzione volontaria di gravidanza, il tasso di abortività in Italia conferma il trend in diminuzione degli anni precedenti. Il risultato è pari a 5,4 per 1.000 nel 2020 (con una riduzione del 6,7% rispetto al 2019). Il tasso di abortività si calcola sul numero di IVG rispetto a 1.000 donne di età 15-49 anni residenti in Italia.

Nel 2020 sono state notificate in tutto 66.413 interruzioni volontarie di gravidanza. Il dato conferma la diminuzione del fenomeno, con -9,3% rispetto al 2019; il calo riguarda tutte le aree geografiche del Paese e tutte le classi di età, in particolare le giovanissime (1,9 per 1.000 donne, tra le minorenni). Il dato più alto resta nelle donne di età tra i 25 e i 34 anni e tra le cittadine straniere. Queste ultime – rileva il report ministeriale – “hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di 2-3 volte. Anche in tale gruppo di popolazione si osserva tuttavia una diminuzione del tasso di abortività (12,0 per 1.000 donne nel 2020, rispetto a 17,2 per 1.000 donne nel 2014)“.

Aborto in Italia: legge 194 e prevenzione

La Legge 194/1978 ha avuto e continua ad avere un importantissimo ruolo per la salute della donna e per la sua consapevolezza. Lo evidenzia anche la relazione del Ministero della Salute, quando tocca il punto degli aborti ripetuti. Anche quest’ultimo dato, infatti, è in diminuzione e con uno dei tassi minori al mondo. “La tendenza al ricorso all’aborto nel nostro Paese è in costante diminuzione, ormai anche tra le cittadine straniere; il fenomeno è spiegabile presumibilmente con il maggiore e più efficace ricorso a metodi per la procreazione consapevole, alternativi all’aborto, secondo gli auspici della Legge” – si spiega nella relazione al Parlamento elaborata da Via Ribotta.

Molto importante anche la funzione svolta dai consultori familiari, strutture di sostegno territoriali gratuite facenti capo alle aziende sanitarie locali. Qui le donne possono rivolgersi a ginecologi pubblici per il rilascio della certificazione necessaria alla richiesta di IVG (43,1%), per chiedere informazioni in merito alle procedure e non solo per l’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche per il sostegno alla maternità, psicologico e di altra natura specialistica. Il consultorio familiare, come vuole la legge 194, svolge anche un ruolo di prevenzione per l’IVG, grazie alle informazioni che fornisce in modo del tutto gratuito e per l’anonimato che garantisce. Il ricorso al consultorio prevale sugli altri servizi come il medico di fiducia (19,9%) ed il servizio ostetrico-ginecologico (33,4%).

Per quanto riguarda le modalità di aborto, il Ssn prevede due metodi: quello farmacologico, che consiste nella somministrazione di due compresse in due tempi diversi, e il metodo chirurgico. La maggior parte degli interventi, riporta il Ministero della Salute, viene fatta entro le 8 settimane di gestazione (56%); il ricorso all’aborto farmacologico è stato di circa il 35,1% nel 2020.

Il metodo farmacologico: RU486 e prostaglandine

La procedura farmacologica fino a prima del 2020 si poteva richiedere fino alla settima settimana di gestazione. Ora invece, grazie alla revisione dei dati delle strutture che negli anni hanno eseguito la procedura, è possibile abortire con i farmaci fino a 9 settimane di gestazione. Il rischio di dover intervenire chirurgicamente dopo una IVG farmacologica è infatti molto basso; quindi il rischio di complicanze – sia di tipo fisico che psicologico – per la donna può essere maggiormente contenuto grazie a questo metodo. Inoltre il trattamento farmacologico ha minori costi per il Ssn. Solo nel 2% dei casi si deve ricorrere alla chirurgia dopo un tentativo di aborto farmacologico; nel 4-5% dei casi se la procedura si attiva dopo le 7 settimane di gestazione.

L’aborto farmacologico può essere eseguito in regime ambulatoriale o in consultorio; in alternativa, anche in ospedale. La prima compressa da assumere è di Mifepristone (pillola RU486) in unica dose; a distanza di 36-48 ore, a seconda della struttura, bisogna assumere le prostaglandine: misoprostolo per via orale (fino al 49esimo giorno di amenorrea); oppure gemeprost per via vaginale.

La IVG farmacologica è un intervento precoce, che espone la donna al minore numero di complicanze; ormai si effettua in tutte le regioni italiane, ma con tempi di attesa differenti e molto variabili, seppure in costante diminuzione. In genere dopo l’assunzione del Mifepristone non ci sono sintomi significativi (mestruazione nel 3-4% dei casi) e la donna può già andare a casa e tornare solo per la somministrazione delle prostaglandine. Dopo queste ultime ci verificano contrazioni uterine e perdite ematiche simili ad un ciclo mestruale abbondante, ma più lungo del solito, durante il quale ci sarà l’espulsione dei tessuti embrionali (tra i 2 e gli 8 millimetri). La donna tonerà per il controllo a 14 giorni.

Il metodo chirurgico: anestesia locale o generale

L’aborto chirurgico si effettua in sala operatoria. Prevede infatti l’aspirazione del materiale ovulare dall’utero. Il ricovero, in assenza di complicazioni, è di solito in day surgery (senza pernottamento in ospedale). L’intervento ha una durata variabile tra i 10 e i 20 minuti e può essere effettuato, a scelta della donna, in anestesia locale o in anestesia generale. Nel primo caso la donna resterà cosciente nel corso dell’intervento e sarà effettuata soltanto una infiltrazione di anestetico locale a livello del collo uterino; sarà inoltre necessario presentare certificazione del gruppo sanguigno. In anestesia generale invece la donna sarà addormentata con una normale iniezione endovenosa; saranno inoltre richiesti gli esami del sangue, un elettrocardiogramma (Ecg) ed una visita con l’anestesista.

La preparazione per l’intervento può prevedere la somministrazione di farmaci che modificano il collo uterino per rendere più agevole la fase chirurgica; ciò avviene in particolare con le pazienti giovani che sono alla prima gravidanza oppure nei casi di aborto con gravidanza oltre la decima settimana. Dopo l’intervento è possibile avvertire dolori dovuti alle contrazioni uterine e sintomi quali nausea e vomito, legati all’anestesia.

Le complicanze di un intervento chirurgico di aborto possono essere diversi: emorragia grave (1 su 1000); perforazione uterina (1 su 1000), infezioni (1 su 1000), danno al collo uterino (2 su 1000). Nel 2% dei casi è anche possibile un aborto incompleto, con la necessità di ripetere l’intervento. La fertilità non viene intaccata da un intervento chirurgico di aborto se non si manifestano infezioni gravi o perforazioni complicate dell’utero.

Medici obiettori: trend in calo, ma dati “poco chiari”

Per quanto attiene all’obiezione di coscienza, nel 2020 il fenomeno ha riguardato il 64,6% dei ginecologi (valore in diminuzione rispetto al 67,0% del 2019), il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico. Si rilevano ampie variazioni regionali per tutte e tre le categorie“.

In una recente indagine l’associazione Luca Coscioni ha segnalato al Ministro Roberto Speranza che in Italia ci sono ben 31 strutture sanitarie (24 ospedali e 7 consultori) con il 100% di obiettori di coscienza. Quasi 50 sono invece quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

L’associazione inoltre chiede inoltre maggiore vigilanza sulla corretta applicazione della Legge 194. “In questi anni, le Relazioni ministeriali di attuazione sono state pubblicate sempre in formato chiuso e con dati aggregati. In questo modo non è possibile sapere che cosa succede nelle singole strutture, se la legge 194 è davvero ben applicata ed eventualmente proporre rimedi alle criticità“. La richiesta è dunque quella di “nominare un referente e di partecipare a un tavolo per l’apertura dei dati o discutere degli eventuali ostacoli, per capire cioè quali sono le ragioni per non aprire i dati sulla 194“.