Olimpiadi, Ruggero Alcanterini

Roma Olimpica: il capitolo che parte dal 1960

Gira e rigira, la storia di Roma Olimpica nella fase moderna dei Giochi – quelli reinventati dal Barone de Coubertin – si concentra in un unico capitolo: quello compreso tra il 25 agosto e l’11 settembre 1960.
Le radici capitoline del Barone sono note, confermate anche dallo stemma araldico dei de Fredis nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli.

Il Sessantesimo Anniversario della XVII edizione dei Giochi, celebrato in data differita a causa della pandemia da COVID – come accaduto anche a Tokio 2020 – rappresenta un’occasione preziosa. È l’ultima opportunità per rivivere quell’atmosfera unica, frutto della mobilitazione di dirigenti temprati dalle vicende del primo Novecento, di atleti preparati e di giovani volontari appena ventenni.

Roma 1960: un evento che ha segnato un’epoca

Quella dei Giochi del 1960 fu un’esperienza epocale, capace di lasciare un segno nell’Italia e nel mondo. È diventata un punto di riferimento per misurare il “prima” e il “dopo”, non solo nello sport.

Rileggendo il grande “rapporto” di Garroni e Giacomini si comprende la portata di quell’impresa, innovativa e moderna nonostante fosse precedente alla rivoluzione digitale.
Lo spirito che animò quell’avventura era diverso da quello di molti eventi successivi: puro, essenziale, rigoroso.

Una nuova rincorsa olimpica e la ripartenza post-COVID

La corsa verso i podi dei Giochi di Tokio coincide con il tentativo del Paese di ripartire dopo l’emergenza COVID. Ma per una vera ripresa serve coraggio nel governare e un progetto serio di prevenzione per la salute, basato sulla pratica diffusa dello sport e su corretti stili di vita.

Vale la pena ricordare che i Giochi Olimpici Moderni nacquero grazie a un approfondimento sui valori sociali ed etici dello sport, con il “Comité pour la propagande des exercices physiques dans l’éducation”, fondato da de Coubertin nel 1888.

Il ruolo strategico dei Giochi di Roma 1960

Roma 1960 avviò un percorso che prosegue ancora oggi. Gli anni Sessanta videro nascere:

  • i “policromi” Libri dello Sport
  • i Centri di Avviamento Sportivo “Olympia”
  • i Giochi della Gioventù

Queste iniziative generarono una mobilitazione straordinaria delle amministrazioni locali e una ricaduta concreta sui territori, mai più replicata in seguito.
Nello stesso periodo prese avvio anche il movimento paralimpico e la medicina sportiva, mentre la medicina scolastica iniziava il suo lento arretramento. Allo stesso tempo, l’attività motoria venne esclusa dalle Scuole Primarie, nonostante l’evoluzione dei docenti verso la laurea.

Cultura sportiva: una storia da custodire

Ai XVII Giochi sembrava aver trovato consacrazione anche la cultura sportiva, grazie alla grande mostra “ARTE E SPORT”. Tuttavia, oggi la Biblioteca Nazionale dello Sport sopravvive con difficoltà manca ancora un Museo nazionale o olimpico.

L’Italia potrebbe creare un vero “Louvre dello sport”, grazie alle opere che possiede.

Un esempio? Lo Stadio di Domiziano, costruito nell’86 d.C., considerato il più antico stadio moderno del mondo, è oggi visitabile sotto Piazza Navona grazie a un intervento privato.

Tra doveri compiuti e doveri da compiere

Molto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare. Roma non è riuscita a portare avanti nuove candidature olimpiche né a valorizzare pienamente l’eredità lasciata dal 1960.

Gli impianti del Foro Italico e del Flaminio, creati in armonia con le visioni di Del Debbio e Nervi, oggi soffrono degrado e sovrastrutture invasive. All’EUR resta la ferita del Velodromo di Ortensi, distrutto con la dinamite.

Ricordi che tengono vivo il sogno

I ricordi sono fondamentali per continuare a sognare. Come un pomeriggio del settembre 1953 allo Stadio Olimpico appena inaugurato, quando, grazie ai biglietti ottenuti da Marcello Garroni, fu possibile assistere all’ultima straordinaria impresa di Nicolino Beviacqua.

Beviacqua – Giuseppe all’anagrafe, classe 1914 – fu protagonista di una gara epica contro Giacomo Peppicelli, quattordici anni più giovane.
A trentotto anni, con i capelli grigi e l’aspetto minuto, sembrava quasi il padre del suo avversario. Ma era un campione vero: dominatore dei 5.000 e 10.000 metri negli anni ’30 e ’40, venti maglie azzurre, tredici titoli italiani.

La sua corsa del 1953 fu memorabile. Superato, staccato, poi rinato negli ultimi giri, fino a chiudere con un distacco di soli due decimi. Il pubblico esplose e Tosi e Consolini lo portarono in trionfo per un giro d’onore indimenticabile.

Il lascito morale e storico di Beviacqua

Beviacqua, semplice operaio dell’ILVA e atleta irriducibile della Fratellanza Ginnastica e del Trionfo Savonese, si spense il 12 agosto 1999. I suoi record rimasero imbattuti fino al 1957 e al 1959. Fu lui l’Ultimo Tedoforo a Savona, quando accese il Tripode propedeutico al braciere di Roma 1960. Quel Tripode – salvato dalla rottamazione nel 1983 – oggi attende ancora la sua rinascita allo Stadio del Nuoto, simbolo del dovere compiuto e di quello ancora da compiere.

Niculin Beviacqua
Niculin Beviacqua

di Ruggero Alcanterini – riadattamento SEO dell’articolo