Nuove strategie per rallentare la progressione della SLA sono emerse da una ricerca condotta dall’Università di Padova, dal CNR Padova e dall’Istituto “Mario Negri” di Milano.  Gli studiosi hanno scoperto un nuovo meccanismo di comunicazione tra le cellule staminali del muscolo scheletrico e i motoneuroni nella Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

Il titolo della ricerca è “Restoration of myogenesis in ALS-myocytes through miR-26a-5p-mediated Smad4 inhibition and its impact on motor neurondevelopment”. È stata pubblicata su «Molecular Therapy Nucleic Acids»

grazie a Stefano Cagnin, Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, e a Maria Lina Massimino, ricercatrice del CNR. Importante il contributo della prima autrice Caterina Peggion, sempre del Dipartimento di Biologia.

Il team ha evidenziato che le cellule staminali di topi con la SLA secernono differenti microRNA rispetto a quelle di topi senza patologia. Inoltre, questi ultimi aiutano a produrre un muscolo funzionale migliorando il differenziamento dei motoneuroni.

SLA, malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni

La SLA è una malattia neurodegenerativa rara che colpisce i motoneuroni, le cellule nervose responsabili del controllo dei muscoli volontari. Tuttavia, negli ultimi anni, la visione della SLA si è ampliata. Non è più considerata soltanto una malattia dei motoneuroni, ma una patologia complessa che coinvolge anche le cellule muscolari. In particolare, emerge sempre più chiaramente il ruolo fondamentale della comunicazione tra muscolo e motoneurone.

Un dialogo bidirezionale tra il muscolo e il motoneurone

Tradizionalmente, si pensava che il muscolo avesse un ruolo passivo, in grado solamente di ricevere il segnale inviato dai motoneuroni che induce la contrazione muscolare. Oggi sappiamo che tra i due esiste un dialogo bidirezionale. Il muscolo invia segnali al motoneurone che influenzano la sua sopravvivenza, il suo sviluppo e il suo stato funzionale. Quando questo dialogo si interrompe, come accade nella SLA, i motoneuroni possono diventare più vulnerabili e andare incontro a degenerazione.

Al centro di questo scambio di segnali ci sono proteine e molecole di RNA come i microRNA. Essi viaggiano tra muscolo e motoneurone attraverso piccole vescicole chiamate esosomi.

I microRNA sono piccole molecole di RNA in grado di regolare la sintesi proteica. La scoperta fatta da Victor Ambros e Gary Ruvkun ha meritato il premio Nobel per la Medicina del 2024.

L’importanza delle cellule staminali del muscolo scheletrico

In questo contesto, assumono grande rilevanza le cellule staminali del muscolo scheletrico. In condizioni normali queste sono “silenti”, ma si attivano in caso di danno o stress contribuendo alla rigenerazione del muscolo. Nella SLA, tuttavia, queste cellule mostrano un comportamento alterato. Sono meno efficaci nella rigenerazione e contribuiscono alla produzione di segnali disfunzionali che influenzano negativamente i motoneuroni.

«Tra i microRNA secreti in condizioni patologiche ci sono il miR-134 e 882. Questi, mediante azione autocrina impediscono la produzione di un muscolo funzionale», affermano Stefano Cagnin, Maria Lina Massimino e Caterina Peggion.

L’azione autocrina è una segnalazione cellulare in cui una sostanza, l’agente autocrino, prodotta da una cellula va a modificare il comportamento della cellula stessa.

Diversamente, i miR-26a e 431, secreti dalle cellule staminali normali aiutano a produrre un muscolo funzionale e migliorano il differenziamento dei motoneuroni.

SLA, l’approccio rivoluzionario alla ricerca e alla terapia

L’idea che una malattia “neuronale” come la SLA abbia radici anche nel muscolo sta rivoluzionando l’approccio alla ricerca e alla terapia.

Target terapeutici in passato erano impensabili. Come ad esempio le cellule staminali del muscolo e i microRNA da loro secreti che hanno effetti positivi anche sui motoneuroni che sono i target tradizionali della SLA.

Per questi motivi – secondo gli autori – comprendere e ripristinare il dialogo tra muscolo e motoneurone potrebbe offrire nuove strategie. Queste potrebbero rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti.