I reparti di Medicina interna degli ospedali italiani, quelli che rappresentano il vero cuore pulsante dell’assistenza ospedaliera, sono oggi allo stremo. Lo rende noto nuova indagine condotta dalla Fadoi – la Federazione dei medici internisti ospedalieri italiani – e presentata in occasione del 30° congresso nazionale. Secondo l’indagine il 58% dei reparti lavora costantemente in overbooking, cioè con un tasso di occupazione dei letti superiore al 100%. Questo significa che spesso i pazienti sono sistemati in corridoio, su barelle temporanee, separati da un semplice paravento, in condizioni che non garantiscono né dignità né privacy.
Indagine Fadoi: overbooking e carenza di personale negli ospedali italiani
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Ma il sovraffollamento non è l’unico problema. Secondo l’indagine Fadoi a peggiorare la situazione c’è una cronica carenza di personale che interessa ben l’85% dei reparti, dal Nord al Sud del Paese. I medici internisti si trovano quindi a fronteggiare una mole di lavoro sempre più elevata, con risorse sempre più ridotte.
Il peso dei “ricoveri sociali” sull’overbooking dei reparti
Un aspetto spesso poco considerato, ma che sta diventando sempre più rilevante, è quello dei cosiddetti ricoveri per motivi sociali. Si tratta di pazienti, perlopiù anziani o fragili, che restano ricoverati non per reali necessità mediche, ma perché impossibilitati a tornare a casa per l’assenza di un’assistenza adeguata sul territorio.
In altre parole, gli ospedali diventano rifugi temporanei per chi non ha alternative. Questo fenomeno, oltre a occupare inutilmente i posti letto, pesa ulteriormente su un sistema già in sofferenza.
Secondo il presidente della Fadoi, Francesco Dentali, molte di queste criticità derivano anche da un errore di fondo: la classificazione dei reparti di Medicina interna come a “bassa intensità di cura”. Una definizione che, oltre a non riflettere la complessità dei pazienti trattati (soprattutto cronici e con comorbidità multiple), comporta minori dotazioni di personale e strumentazioni diagnostiche rispetto a reparti classificati come “ad alta intensità”.
Prevenzione e assistenza territoriale: le vere soluzioni
Una delle indicazioni più forti che emerge dall’indagine riguarda la possibilità concreta di evitare molti ricoveri, a patto di investire seriamente su prevenzione e servizi territoriali. Secondo la Fadoi, infatti, un ricovero su tre potrebbe essere evitato se il paziente fosse seguito meglio sul territorio o se ci fosse una maggiore attenzione alla prevenzione, sia primaria che secondaria.
Oggi, invece, le Regioni investono solo il 5% del Fondo sanitario in prevenzione, quando il Ministero della Salute raccomanda almeno l’8%. E questo si riflette direttamente sui numeri: nel 35% dei reparti, tra l’11 e il 20% dei ricoveri sono riconducibili a scarsa prevenzione, stili di vita inadeguati, mancata adesione a screening e vaccinazioni.
Secondo il ministro della Salute Orazio Schillaci, è necessario un cambio di paradigma: “Non possiamo continuare a pensare alla Medicina interna come a un serbatoio per supplire alle carenze dell’assistenza sociale”, ha affermato intervenendo al congresso.
Schillaci ha anche annunciato un prossimo Decreto Ministeriale per ridefinire gli standard ospedalieri. Ha riconosciuto così il ruolo cruciale che la Medicina interna ricopre e promuovendo una maggiore integrazione con i servizi di assistenza sul territorio.
Case di Comunità: tra speranze e dubbi
Una delle soluzioni previste dal PNRR per alleggerire gli ospedali e potenziare la sanità territoriale è la creazione delle Case di Comunità. Strutture sanitarie multifunzionali dove medici di medicina generale, infermieri di comunità e specialisti lavorano insieme per fornire una presa in carico più continua e integrata. Ma, come spesso accade in Italia, tra la teoria e la pratica c’è una distanza da colmare.
Il 72% dei medici internisti intervistati si dice fiducioso nel fatto che le Case di Comunità possano contribuire a ridurre i ricoveri inutili. Ma molti restano cauti: tutto dipenderà da come verranno effettivamente realizzate, dotate di personale e integrate nei percorsi di cura già esistenti.
Intanto, un piccolo segnale positivo si registra: la percentuale di pazienti dimessi con assistenza domiciliare integrata attivata è salita al 43%. È un dato incoraggiante, ma ancora lontano dall’essere sufficiente per sbloccare l’impasse in cui si trovano molti reparti.
L’impatto sulla ricerca e sull’innovazione
Un altro effetto collaterale del sovraccarico di lavoro è il tempo sempre più ridotto che i medici possono dedicare alla ricerca clinica, un’attività fondamentale per migliorare la qualità delle cure. Secondo l’indagine Fadoi, il 48% degli internisti dichiara di non avere più tempo per fare ricerca, una perdita importante per tutto il sistema sanitario. Dove si fa ricerca, infatti, si migliora anche l’assistenza, si sperimentano nuove soluzioni, si aggiornano le competenze. Trascurare questo aspetto significa rallentare l’innovazione e rischiare di restare indietro rispetto ad altri Paesi.
L’Italia ha troppi pochi letti
Il problema di fondo, però, è anche quantitativo: in Italia ci sono troppo pochi posti letto. Se la Germania ne conta 8 ogni mille abitanti, l’Italia si ferma a 3,1, ben al di sotto della media europea. Nei reparti di Medicina interna si contano circa 35mila letti per un Paese con una popolazione che invecchia sempre di più, con pazienti cronici che richiedono cure prolungate e complesse. È evidente che questo numero non è sufficiente.