Un appello collettivo per salvare la sanità pubblica e contrastare le disuguaglianze: nasce il documento “Non possiamo restare in silenzio” in cui oltre 130 associazioni della società civile si sono unite per dire basta al silenzio che avvolge la crisi della sanità pubblica italiana. Il titolo del documento è “Non possiamo restare in silenzio. La società civile per la sanità pubblica” e denuncia l’inerzia delle istituzioni di fronte al malessere crescente degli operatori sanitari e dei cittadini.

L’appello: misure necessarie e conseguenze dell’autonomia differenziata

Il documento si sviluppa in due parti distinte ma strettamente intrecciate. Nella prima, vengono delineate con chiarezza le misure necessarie per rilanciare il Servizio sanitario nazionale (SSN), puntando su un nuovo investimento di risorse, una rinnovata valorizzazione del personale, il potenziamento delle cure primarie e un serio finanziamento della riforma dell’assistenza alle persone non autosufficienti.

La seconda parte, invece, accende un riflettore sulle gravi conseguenze che l’autonomia differenziata potrebbe avere sulla tutela del diritto alla salute, alimentando disuguaglianze territoriali già oggi troppo evidenti.

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Il messaggio dell’appello: il SSN può e deve essere salvato

Uno dei messaggi centrali del documento è che il declino del SSN non è un destino inevitabile. È una tendenza che può e deve essere invertita, a patto di adottare scelte politiche coerenti con i principi costituzionali e con le reali esigenze della popolazione.

Le soluzioni non possono essere affidate a un secondo pilastro sanitario basato su fondi integrativi o assicurazioni private. Serve invece una sanità pubblica forte, capace di garantire equità e qualità.

Risorse adeguate destinate al personale sanitario

Il Servizio sanitario nazionale ha bisogno urgente di finanziamenti strutturali, in linea con quelli dei principali paesi europei. Queste risorse non devono essere distribuite a pioggia, ma destinate con priorità agli ambiti più critici: il personale sanitario, le attività di prevenzione, le cure primarie, la domiciliarità, soprattutto per i soggetti più fragili come anziani e persone con disabilità. Senza questi investimenti, sarà impossibile ridare fiducia ai cittadini e recuperare la capacità di programmazione e controllo del sistema.

Il personale è la colonna vertebrale del sistema

Medici, infermieri e operatori sanitari non possono più essere considerati numeri da gestire con rigidi tetti di spesa. Il documento chiede un deciso cambio di rotta: dotazioni adeguate, stipendi equi, condizioni di lavoro dignitose e opportunità di crescita professionale. Solo così si potrà fermare l’emorragia di professionisti che lasciano il pubblico o l’Italia per cercare migliori condizioni altrove.

Cure primarie e assistenza di prossimità: la vera rivoluzione

La sanità del futuro non si costruisce negli ospedali, ma sul territorio. Le associazioni firmatarie propongono una profonda riorganizzazione delle cure primarie, con un ruolo centrale per i Distretti sociosanitari, le Case della comunità e un approccio realmente integrato e partecipativo.

In questo modello, il cittadino torna al centro del sistema. Viene assistito da una rete capillare e competente che agisce vicino alle persone e non sopra di esse.

Un impegno concreto per i non autosufficienti

Altro punto chiave del documento è il rilancio della riforma per l’assistenza alle persone non autosufficienti. Si chiede di finanziare in modo adeguato il Fondo per la non autosufficienza, superare le attuali sperimentazioni limitate e garantire un governo pubblico dell’intero processo. L’obiettivo è chiaro: dare piena priorità alla domiciliarità, offrendo cure dignitose e sostenibili per chi ha più bisogno.

L’ombra dell’autonomia differenziata

Il documento lancia infine un forte monito contro l’autonomia differenziata, ritenuta una minaccia concreta all’unitarietà del diritto alla salute. In un’Italia già segnata da profondi squilibri territoriali nell’accesso ai servizi sanitari, l’idea di frammentare ulteriormente le competenze rischia di compromettere in modo irreparabile la coesione sociale e il principio stesso di uguaglianza sancito dalla Costituzione.