Storia, segnali e delucidazioni sulla violenza psicologica. Intervista al dottor Francesco Minelli psicoterapeuta
È un grido silenzioso, soffocato dalla sofferenza, quello che si cela dietro una violenza. Un dolore dell’anima che, a volte, non viene ascoltato neanche dalla persona che la subisce. Questo, perché, spesso la vittima o per fragilità o perché abituata e cresciuta in un ambiente ” violento” non riesce a rendersene conto riconoscendo come familiari i segnali di aggressività celati dietro i comportamenti del carnefice. E così inizia un vero e proprio logoramento che porta conseguenze gravi, psicologiche e, purtroppo, anche fisiche.
Molto prima che fosse coniato il termine “violenza psicologica” Freud parlava di aggressività: riconosceva in comportamenti aggressivi le pulsioni dell’individuo. Secondo il padre della psicoanalisi l’aggressività poteva essere di due tipi: quella rivolta verso gli altri e quella verso sé stessi. Ciò che unisce i due concetti è l’istaurazione del predominio di quelli che vengono percepiti come rivali. Tra questi, possono esserci, nel caso l’aggressività venga rivolta verso sé stessi, le parti psichiche interne che il soggetto rifiuta e su cui esercita un’azione autodistruttiva.
Gli studi scientifici più significativi
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Le ricerche più significative sono state fatte da J. Dollard,L.W. Doob,N.E.Miller partendo dall’ipotesi di Freud che collegava l’aggressività alla frustrazione.
Ci furono varie ipotesi in seguito alle ricerche degli specialisti:
1) l’intensità dell’aggressività varia in rapporto alla rilevanza della frustrazione, misurabile in base alla forza della motivazione
2) Ci può essere un’inibizione dell’aggressività in base alla punizione che il soggetto si aspetta in seguito al suo comportamento
3) l’aggressività può essere spostata se il soggetto su cui riversarla non può essere attaccato
4) l’auto aggressività si manifesta quando l’individuo considera sé stesso l’agente frustrante
5) ogni atto aggressivo porta ad una liberazione (catarsi) in modo da ridurre la probabilità di nuove manifestazioni aggressive
Il desiderio dell’inconscio
Il desiderio dell’inconscio era quello di liberarsi da atti di violenza psicologica subita da un padre o una madre riproponendo gli stessi meccanismi con la donna o l’uomo che ha scelto al suo fianco. E se il soggetto non fosse riuscito a trovare sfogo a questa aggressività l’avrebbe riversata su sé stesso divenendo così il carnefice del suo corpo. Quello che oggi chiameremo autolesionismo.
Più tardi venne coniato il termine di violenza fisica e psicologica.
La violenza psicologica può essere subdola o celarsi dietro comportamenti studiati da colui che la pratica, addirittura attraverso il silenzio.
È così quanto peso hanno le parole in una relazione malata? È quanto ne ha il silenzio?
Questo è diverso da persona a persona, ognuno ha la sua storia ma chi subisce una violenza, anche davanti a segnali espliciti, spesso sceglie di non parlarne e se lo fa, a volte non viene creduto o minacciato.
La violenza del silenzio
Un segnale di violenza atroce può essere anche il silenzio. Perché in alcuni soggetti, estremamente sensibili e con un passato particolare, può ferire più delle parole.
Come il caso in cui una bambina si reca felice verso suo padre, in cerca di approvazione o ha solo bisogno di essere ascoltata e invece trova indifferenza e silenzio.
La donna crescerà con un bisogno costante di essere ascoltata o peggio di non riuscire a esprimersi perché il padre, con il suo silenzio, ha provocato in lei una tale frustrazione da creare un vuoto nelle parole. Parole ” vuote” che non esprimono né dicono nulla di sé perché la paura di non essere ascoltata può essere più forte e traumatica. E si creerà, così, un meccanismo di difesa, che permetterà alla donna di difendersi dal dolore provocato dal padre.
Un altro esempio di violenza psicologica è quello di un partner aggressivo verbalmente che maltratta la sua donna attuando comportamenti malati e disfunzionali proponendo le stesse dinamiche che lei ha passato. Di conseguenza, la scelta del partner sia da parte della vittima sia del carnefice sta nel ricercare quel rapporto familiare malato che in quel momento dà sicurezza fino a quando la vittima non si accorge di essere in pericolo. E può provocare gravi danni non solo psicologici ma anche psichiatrici. Vittima e carnefice si riconoscono, si cercano e vivono nel loro rapporto malato.
Scopriamo di più sulla violenza psicologica: Intervista al dottor Francesco Minelli
Il dottor Francesco Minelli, specializzato in psicoterapia dinamica, scuola di pensiero che partendo da Freud si sofferma su autori che parlano dell’inconscio e di come una serie di cose che apprendiamo quando siamo bambini tendiamo a ripeterle in età adulta.
Dottor Minelli che cosa si intende per violenza psicologica?
“È una forma di abuso perché colpisce l’individuo in profondità e può recare danni in delle ferite che ci sono già. Ad esempio, dei traumi subiti nell’infanzia, nel modo in cui siamo cresciuti, nel rapporto che abbiamo avuto con i nostri genitori o nel modo in cui loro si sono comportati con noi. Se un padre aveva già dei comportamenti di maltrattamento su un figlio si cercherà un partner che mette in atto di nuovo questi comportamenti. Questo va a minare la relazione con noi stessi, la nostra identità e la nostra autostima.
Ovviamente è molto comune che avvenga, cioè una persona che ha vissuto già dei maltrattamenti da piccola tende ad essere attratta da un partner di questo tipo anche se non lo vorrebbe perché c’è un senso di familiarità. Non si può pensare alla violenza se non si pensa a un’umiliazione, a una tendenza a distruggere l’autostima della persona”.
Anche il silenzio può essere una forma di violenza psicologica? Ad esempio, un bambino che cerca approvazione dal padre invece trova il silenzio?
“Assolutamente sì. Questa in termini tecnici, quella del silenzio, viene definita come una sorta di aggressività passiva. Come se l’aggressore dicesse al soggetto non ti considero, non valuto i tuoi bisogni importanti, non ti vedo. Questo messaggio è molto forte. L’indifferenza, a volte, può essere più violenta della violenza stessa perché non ci si sente visti e ci si sente vuoti, c’è quel vuoto interiore. È un vuoto importante. Il silenzio come anche l’assenza fisica”.
La violenza psicologica sui bambini che tipo di ripercussioni può avere? Può lasciare anche danni permanenti? O disturbi che si possono sviluppare in età adulta?
“I bambini che sono vittime di violenza verbale, psicologica, fisica, maltrattamenti, sviluppano una sorta di modello che rivivono dentro di loro anche fisicamente (possono esserci delle ripercussioni fisiche come sensazioni di allerta, di ansia, vuoto, sofferenza,) che riemergono nelle relazioni. Ma, purtroppo, anche il corpo stesso si adatta a questo trauma e, quindi, rivive nelle relazioni questa sensazione: “l’altro mi può aggredire”.
Non è detto che sia necessariamente una cosa reale, cioè che il partner sia aggressivo, però il corpo ha imparato ad adattarsi a questo tipo di relazione.
Se il bambino vive o assiste a un episodio di violenza molto intenso può restare inconsciamente un segnale di allarme “dentro” e può diventare anche un disturbo psicosomatico. Può provocare ansia o altre problematiche. I traumi infantili influiscono non solo sui nostri rapporti ma anche sulla salute fisica, il modo in cui mangiamo e socializziamo.
Inoltre, capita spesso, che questi soggetti abbiano difficoltà a gestire le emozioni e facciano uso di droghe diventando dipendenti. Anche il disturbo borderline, ad esempio, può scaturire in un adulto che ha subito una violenza”.
Come può essere dimostrata la violenza psicologica? Se una persona ha subito un abuso da bambino come può dimostrarlo legalmente?
“Vorrei distinguere i bambini dagli adulti. Nel mio articolo ho riportato alcuni link: il telefono azzurro, il telefono rosa e il numero antiviolenza. Chiamare queste persone nel caso di un bambino è più difficile. In caso di minori, di solito, si attivano gli assistenti sociali, ci sono segnalazioni da parte di altri come, per esempio, gli insegnanti che si accorgono che il bambino ha alcuni comportamenti particolari. Il soggetto tende a chiudersi, non parla, può avere anche scatti d’ira.
È importante che qualcuno noti questo tipo di comportamento nel bambino perché a quell’età non ha gli strumenti per poterne parlare. I segni emotivi non si vedono. Solo parlandone con uno specialista si potrà capire se la persona sta mentendo.
Nel mio articolo ho sottolineato quelli che possono essere i segnali per riconoscere se si è vittima di violenza psicologica: urlare contro il partner, ridicolizzarlo ecc...
Purtroppo, la violenza psicologica non è come quella fisica, ci sono anche dei test che vengono fatti quando si contatta un centro antiviolenza. Attraverso questi test si può dimostrare che ci sono dei segnali. Se siamo degli adulti la cosa migliore è allontanarsi dalla situazione ma spesso è difficile a causa della paura e della dipendenza dal partner”.
Puoi contattare il dottor Francesco Minelli qui
La violenza psicologica può provocare un vero e proprio trauma e, spesso, nel rapporto di coppia si può arrivare ad essere vittime di violenza fisica. Ne parleremo nel prossimo articolo riguardante la violenza fisica, in particolare, sulle donne che, secondo la statistica sono le più colpite da parte del partner.