La paura è un’emozione complessa e multiforme che coinvolge il nostro cervello in modi specifici a seconda del tipo di minaccia percepita. Il timore di trovarsi su una sporgenza elevata, l’angoscia suscitata dalla vista di un ragno o l’ansia di parlare davanti a un pubblico attivano aree cerebrali differenti. A dimostrarlo, recenti ricerche neuroscientifiche

Le fobie: non un solo “circuito della paura”

a paura è un’emozione complessa e multiforme che coinvolge il nostro cervello in modi specifici a seconda del tipo di minaccia percepita

Per molti anni, si è creduto che la paura attivasse sempre le stesse regioni cerebrali. Si pensava, infatti, che una fobia potesse essere ricondotta a un circuito specifico che coinvolgeva aree come l’amigdala, responsabile delle emozioni, o la corteccia orbitofrontale, implicata nel processo decisionale. Tuttavia, un nuovo studio condotto dal professore Ajay Satpute e il suo team della Northeastern University sfida questa idea consolidata. La ricerca, pubblicata su The Journal of Neuroscience, mostra che le risposte neurali a diverse fobie non seguono un unico modello, ma coinvolgono varie parti del cervello a seconda del tipo di paura sperimentata. Vediamo di cosa si tratta.

Lo studio: paura di altezze, ragni e minacce sociali

Il team di ricerca ha impiegato tecniche avanzate di risonanza magnetica funzionale per esplorare le complesse risposte cerebrali alla paura su un campione di ventuni partecipanti. Durante lo studio, i soggetti sono stati esposti a filmati mirati a scatenare reazioni di paura specifiche, tra cui il senso di vertigine guardando giù da un dirupo, il contatto visivo con un ragno imponente e peloso e, infine, situazioni di “minaccia sociale” come il dover parlare in pubblico. Al termine di ogni video, i partecipanti hanno valutato il proprio livello di paura.

Cosa che ha consentito ai ricercatori di confrontare questi dati con le corrispondenti immagini cerebrali.

Risultato?

Le aree della paura 

L’analisi dei risultati ha rivelato che differenti timori attivano aree distinte del cervello, smentendo l’idea tradizionale di un singolo “circuito della paura”. L’amigdala, noto centro delle risposte emotive, ha mostrato un’attivazione significativa nei soggetti che soffrono di acrofobia (terrore delle altezze), ma non ha risposto in modo simile in chi teme i ragni o le situazioni sociali. In questi ultimi casi, altre aree, come la corteccia prefrontale e il sistema limbico, si sono attivate in modi diversi. Questo suggerisce che il cervello risponde in modo unico a ciascuna tipologia di minaccia.

La scoperta chiarisce il funzionamento della paura, dimostrando che il cervello non elabora tutte le paure allo stesso modo. Al contrario, l’attivazione delle aree cerebrali varia a seconda della natura specifica della minaccia, evidenziando la straordinaria plasticità con cui il cervello affronta pericoli fisici, animali o sociali, a seconda delle esigenze adattative.

Implicazioni per la comprensione delle emozioni

I risultati di questo studio sono importanti non solo per comprendere meglio come funziona il cervello in situazioni di paura, ma anche per il trattamento di disturbi legati all’ansia e alle fobie. Se paure diverse attivano regioni cerebrali diverse, anche gli interventi terapeutici potrebbero dover essere adattati in base al tipo specifico di terrore e alla persona che la sperimenta.

Per esempio, le attuali terapie farmacologiche che si concentrano su un singolo circuito della paura hanno un’efficacia limitata. Funzionano infatti solo per circa il 50% delle persone. Satpute suggerisce che questo potrebbe essere dovuto al fatto che si ignorano le differenze individuali nelle risposte neurali al “timor panico”. Interventi più personalizzati, basati sulla specifica attivazione cerebrale legata a una determinata fobia, potrebbero offrire risultati più efficaci nel trattamento dell’ansia.

Il futuro della ricerca sulle fobie

Il team di Satpute ha intenzione di ampliare il campione di partecipanti negli studi futuri per confermare i loro risultati. In particolare, vogliono approfondire l’influenza di fattori demografici come l’età e il genere nelle risposte alla paura. Ciò potrebbe portare a terapie ancora più personalizzate, sia a livello psicologico che farmacologico, per affrontare le paure e l’ansia in modo più efficace e mirato.

Fonti

Yiyu Wang et al, The Journal of Neuroscience (2024)