Nuove ricerche neuroscientifiche rivelano che questo fenomeno, conosciuto come “soffocamento sotto pressione”, potrebbe essere spiegato da un calo dell’attività neuronale nella regione del cervello responsabile della preparazione al movimento. Studi recenti condotti su scimmie hanno fornito nuove intuizioni su come e perché questo accade
Il “soffocamento” sotto pressione: i perché di questo fenomeno universale
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Perché quando siamo sotto stress ci sentiamo soffocare? E questo fenomeno è solo una prerogativa degli uomini? Iniziamo con dire che si tratta di un’esperienza comune non solo per gli esseri umani, ma anche per altre specie animali. Nello specifico, si manifesta quando la performance di un individuo, che si trova in una situazione di alta aspettativa o competizione, risulta compromessa. Un esempio emblematico è quello di un giocatore di basket che fallisce un tiro decisivo in un momento cruciale della partita. Analogamente, le scimmie rhesus, oggetto di recenti ricerche, dimostrano che anche loro possono subire un calo nelle loro capacità in situazioni di alta ricompensa.
La ricerca di Steven Chase
Nel 2023, il neuroscienziato Steven Chase e il suo team hanno condotto uno studio innovativo pubblicato su Neuron, in cui hanno approfondito le dinamiche del soffocamento sotto pressione utilizzando scimmie rhesus come soggetti di ricerca. Questo approccio ha permesso di esplorare le basi neurologiche del fenomeno in un contesto controllato e scientificamente rigoroso.
I primati sono stati sottoposti a un compito specifico in cui dovevano spostare un cursore su un bersaglio per ottenere una ricompensa. Le ricompense variavano significativamente: alcune erano modeste, mentre altre offrivano un “jackpot” raro. Cosa che creava un ambiente molto ansiogeno. Questa configurazione ha fornito un quadro ideale per analizzare come gli stimoli esterni e le aspettative possano influenzare il comportamento e la performance.
Ebbene, attraverso tecniche avanzate di imaging cerebrale, i ricercatori hanno potuto monitorare l’attività neuronale nelle scimmie durante il compito. I risultati hanno rivelato che l’attività in specifiche aree cerebrali, fondamentali per la preparazione e l’esecuzione dei movimenti, diminuiva quando le scimmie affrontavano compiti particolarmente impegnativi.
Monitoraggio dell’attività neuronale nella corteccia motoria
Per esaminare la funzione neuronale, i ricercatori hanno impiantato un sofisticato chip con elettrodi all’interno della corteccia motoria degli animali. Questa area, situata nel lobo frontale del cervello, riveste un ruolo fondamentale nella pianificazione e nell’esecuzione dei movimenti. I risultati dello studio hanno rivelato una significativa diminuzione dell’azione neuronale associata alla preparazione motoria in condizioni di alta ricompensa. Questo calo nella fase preparatoria è stato direttamente correlato a prestazioni inferiori.
La preparazione motoria è essenziale per calcolare e coordinare i movimenti, simile all’atto di allineare con precisione una freccia su un bersaglio prima di scoccarla. Quando questa attività di preparazione è carente, il cervello fatica a completare il movimento in modo efficiente, portando a una performance compromessa e meno efficace. Come mai accade questo fenomeno?
L’ipotesi del bias neurale
I ricercatori hanno formulato l’ipotesi che la diminuzione dell’attività preparatoria in situazioni di alta ricompensa possa essere attribuita a un fenomeno noto come “bias neurale”.
Questo concetto suggerisce che, sebbene l’attività neuronale tenda ad aumentare con l’intensificarsi della ricompensa, essa raggiunge un punto di saturazione oltre il quale inizia a declinare. In altre parole, l’intensa motivazione generata da un premio significativo può generare un eccesso di stress o distrazione, in grado di compromettere la fase preparatoria e, di conseguenza, la performance complessiva. Questo meccanismo potrebbe spiegare perché, in momenti cruciali, anche gli individui più capaci possano fallire nel raggiungere il loro pieno potenziale.
Il bias neurale potrebbe manifestarsi attraverso una serie di risposte emotive e cognitive, influenzando la capacità di concentrazione e la gestione delle aspettative. Questo porta a considerare non solo gli aspetti neurologici, ma anche quelli psicologici che giocano un ruolo cruciale nel comportamento sotto pressione. La comprensione di questo fenomeno può aiutare a delineare strategie efficaci per affrontare situazioni critiche, ottimizzando la preparazione mentale e fisica.
Implicazioni e prospettive future
Lo studio di Chase e del suo team presenta importanti implicazioni per migliorare le prestazioni in condizioni di stress. Se l’attività neuronale nella corteccia motoria è fondamentale per la preparazione dei movimenti, diventa essenziale sviluppare strategie mirate per ottimizzarla, anche quando la pressione è elevata. Una questione centrale rimane: il feedback sull’attività cerebrale può davvero fungere da strumento per migliorare la performance? Se sì, potrebbe fornire agli individui le risorse necessarie per gestire in modo più efficace lo stress e la pressione, trasformando una potenziale debolezza in un’opportunità di crescita.
Chase e il suo team sono motivati a esplorare metodologie che possano attenuare il soffocamento sotto pressione negli esseri umani. Tecniche come il monitoraggio dell’attività cerebrale e l’allenamento specifico potrebbero rivelarsi promettenti nel migliorare la preparazione mentale e fisica. Tuttavia, è fondamentale condurre ulteriori ricerche per tradurre questi risultati in applicazioni pratiche per situazioni reali. Solo attraverso un’analisi approfondita e test rigorosi sarà possibile verificare l’efficacia di eventuali interventi e comprendere come ottimizzare le prestazioni in contesti dove la pressione è inevitabile.