L’importanza del sale nella nostra storia alimentare è stata innegabile fin dai tempi antichi. Questo minerale, conosciuto anche come “oro bianco“, è utilizzato da millenni. Ma oltre all’importanza culinaria, il sale ha assunto un ruolo centrale nella nostra salute e, più recentemente, nelle ricerche scientifiche.
Uno studio pubblicato su JAMA Network Open ha sollevato l’attenzione sulla correlazione tra il suo eccessivo consumo e un rischio più elevato di insufficienza renale cronica (IRC)
Il sale: occhio agli abusi
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La storia del sale è intrecciata con l’evoluzione stessa della civilizzazione. I primi segni del suo impiego risalgono a migliaia di anni fa, quando le comunità neolitiche iniziarono a raccoglierlo dalle acque del mare o a estrarlo dalle miniere sotterranee. Le ragioni del suo utilizzo erano molteplici: conservare il cibo, migliorarne il sapore e persino sfruttarne le proprietà curative.
Ma esaminiamo il rovescio della medaglia…
Un team della Tulane University di New Orleans (Louisiana), guidato dall’epidemiologo Rui Tang, mette in guardia sui potenziali rischi dell’oro bianco.
Condotto su un ampio campione della popolazione generale, lo studio sostiene che l’abitudine di aggiungere sale agli alimenti è associata a un aumento del rischio di sviluppare problemi renali cronici, come l’insufficienza renale cronica.
Nota con l’acronimo IRC, questa severa condizione impatta la salute renale di milioni di individui in tutto il mondo.
Di conseguenza, è importante comprendere come le abitudini alimentari possano influenzare la nostra salute a lungo termine.
In che modo il sale influenza i nostri reni? Fucus sullo studio
Esaminando una vasta coorte di adulti (dati forniti dalla Biobanca del Regno Unito) compresi tra i 37 e i 73 anni, privi di precedenti problemi renali, i ricercatori hanno scoperto correlazioni significative tra l’uso abituale del sale e il manifestarsi della malattia renale.
I risultati sono stati sorprendenti.
Su un totale di 465.288 partecipanti, durante un periodo di monitoraggio medio di quasi dodici anni, sono stati documentati oltre 22mila casi di insufficienza renale cronica.
Da subito è emersa la chiara associazione tra la frequenza con cui il sale veniva aggiunto ai pasti e il rischio aumentato di sviluppare problemi renali.
Coloro che hanno dichiarato di aggiungere sale al cibo con una certa regolarità, o “qualche volta“, “abitualmente” o “sempre“, hanno mostrato un rischio crescente di IRC rispetto a coloro che riferivano di non farlo o di farlo raramente.
Insomma, l’incremento del rischio, sebbene leggero, è stato proporzionale alla frequenza dell’uso del sale nei pasti quotidiani.
Ma l’interessante curiosità emersa da questa ricerca va oltre la semplice correlazione. I ricercatori hanno scoperto che le associazioni tra l’uso del sale e l’IRC sono state influenzate da vari fattori. In particolare, la funzione renale stimata, l’indice di massa corporea e persino il livello di attività fisica hanno modulato questa relazione.
Connessioni tra IRC, BMI e attività fisica
È stato notato che le connessioni tra l’uso del sale e l’IRC erano più pronunciate in coloro con una funzione renale stimata più elevata, un BMI (indice di massa corporea) più basso e un livello inferiore di attività fisica. Questo suggerisce un’interessante interazione tra lo stile di vita, la salute renale e l’effetto del sale sul nostro corpo.
Tali scoperte aprono nuove prospettive sul modo in cui consideriamo il sale nella nostra alimentazione. Non è infatti solo una questione di quantità, ma anche di come il nostro corpo reagisce a quest’antico condimento.
«Questi risultati supportano la riduzione dell’aggiunta di sale agli alimenti come potenziale strategia di intervento per la prevenzione della malattia renale cronica», scrivono gli autori.
Sale sì o no?
La ricerca ovviamente non implica una condanna assoluta dell’uso del sale, ma piuttosto una chiamata alla consapevolezza e alla moderazione.
Lo studio ci incoraggia a esaminare attentamente le nostre abitudini alimentari, ad adottare scelte più consapevoli e a considerare l’effetto che ingredienti apparentemente innocui possono avere sulla nostra salute a lungo termine.
In definitiva, ascoltare il nostro corpo potrebbe essere la chiave per mantenere l’equilibrio tra il piacere culinario e la salute duratura.
Cosa fare?
Di sicuro, dovremmo prendere l’abitudine di leggere e soprattutto interpretare le etichette nutrizionali apposte sui prodotti alimentari.
In secondo luogo, per insaporire i cibi, potremmo trovare dei metodi alternativi. Le spezie ad esempio, conferiscono forza e sapore agli alimenti e salvo che se ne faccia abuso, fanno bene.
Fonti
Rui Tang et al, Frequenza auto-riferita dell’aggiunta di sale agli alimenti e rischio di insufficienza renale cronica, JAMA Network Open (2023