L’intervista al segretario regionale di Cittadinanzattiva Lazio, Elio Rosati, porta alla luce diverse ombre della sanità italiana, in particolare quella laziale. Complesso e articolato il discorso sulle liste di attesa che vedono una domanda in crescita ma una scarsa capacità di rispondere in modo adeguato. Una situazione strutturale che sta emergendo con più forza rispetto al passato vista la sostanziale carenza del personale sanitario, soprattutto degli specialisti.
“Qualche tempo fa una nostra referente di una struttura romana, incontrò un chirurgo in ospedale e gli disse che fuori dal suo ambulatorio c’era una fila di gente che si lamentava dell’attesa. Il chirurgo rispose: “O sto in sala operatoria, o sto in ambulatorio a fare le visite’. Questa battura nasconde drammaticamente uno dei problemi delle liste di attesa’” così inizia a fare il punto della situazione il segretario regionale Elio Rosati.
Cittadinanzattiva, l’intervista a Elio Rosati
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Il primo problema è che le liste d’attesa non possono essere smaltite se non c’è un numero sufficiente di personale sanitario a disposizione. Il secondo è legato all’organizzazione dell’accesso alle liste d’attesa quindi ai famosi sistemi Recup che rimandano al tema della trasparenza del dato e della tracciabilità dei percorsi. Nel Lazio è stato revisionato da circa due anni con una piattaforma nuova e con l’apertura dei call center. Si tratta di un sistema tarato e isolato durante il Covid.
I cittadini del Lazio per fare le vaccinazioni contro il Covid, accedevano direttamente al portale Salute Lazio e facevano la prenotazione del proprio vaccino scegliendo: tipologia di vaccino, dove e quando farlo – continua Rosati -. Visti i buoni risultati, il precedente assessore aveva detto che la stessa prassi poteva essere aperta in via sperimentale anche per alcune tipologie di prestazioni. Quindi la piattaforma c’è.
L’intervista a Rosati, il sistema Recup
Quali sono le note dolenti che rendono inefficace l’attuale sistema di prenotazione delle prestazioni?
Voglio fare una precisazione per capire il più complesso discorso. Esistono due canali di soggetti che erogano le prestazioni sanitarie. Il primo è il canale pubblico quindi le aziende sanitarie locali e quelle ospedaliere nel Lazio: in totale sono 17.
Il secondo è tutta la filiera di aziende private accreditate per alcune tipologie di prestazioni. Questi due soggetti dovrebbero caricare sul sistema Recup tutta l’offerta sanitaria. Ma ciò non avviene. Il problema, già a suo tempo comunicato dall’assessore D’Amato e confermato lo scorso maggio dal presidente Rocca, è l’esigua offerta delle prestazioni.
Infatti il pubblico carica un’offerta che oscilla tra il 30 e il 35% e quindi un terzo dell’offerta che realmente potrebbe essere messa a disposizione. Per le aziende private accreditate i numeri sono ancor più imbarazzanti perché caricano tra lo 0,4 e l’1,5%. Voglio precisare che anche l’operatore che risponde al telefono vede sul pc solo le offerte caricate.
L’intervista a Elio Rosati, cosa fa la Regione Lazio?
A fronte di questi numeri, cosa fa la Regione Lazio?
L’impegno della Regione Lazio è quello di portare i privati accreditati a caricare il 70% delle prestazioni sul sistema Recup perché significherebbe avere a disposizione tutta una serie di prestazioni che oggi non sono visibili, né quindi tracciabili tramite sistema Recup.
Infatti, ad oggi, una persona va direttamente nella struttura privata accreditata o chiama per verificare se c’è disponibilità. Con questo sistema, invece, la prestazione verrebbe messa a disposizione di tutti perché visibile sul sito e, attraverso prenotazione, tutto sarebbe tracciabile, con dati corrispondenti alla realtà.
Quali sono le conseguenze?
La carenza di specialisti e l’offerta insufficiente portano a liste d’attesa che magicamente esplodono. Da qui i casi di gente con patologie importanti che aspetta anche 12 mesi e non trova accesso nemmeno vicino casa ma è costretto a spostarsi presso altre e più lontane Asl. Se non addirittura ricorre al privato o all’intramoenia. O si arriva al drammatico fenomeno di chi rinuncia perché non ha disponibilità economica.
L’intervista a Elio Rosati, prevenzione
Un fenomeno che cozza con la prevenzione, termine abusato ma poco praticato…
Non ho dati alla mano, ma ci sembra di capire che chi rinuncia spesso sono coloro che, non avendo fatto prevenzione, finiscono al pronto soccorso o direttamente in sala operatoria. Non essendo stati inseriti nel sistema sanitario regionale o nazionale non possono essere tracciati.
Il sistema non è in grado di capire chi ha saltato qualsiasi tipo di percorso, quindi saranno conteggiati nelle statistiche ospedaliere di cui abbiamo i dati l’anno successivo. In sostanza su un totale di operazioni e interventi, non saremo in grado di capire chi ha fatto prevenzione e chi no. La mappatura di quello che accade negli ospedali non basta. Perché non è in grado di misurare le attività sul territorio, ossia quelle attività legate alla prevenzione che dovrebbe essere fatta a 360°.
Ma rimane la cenerentola delle attività di programmazione sanitaria. Se ne parla ad ottobre che è il mese della prevenzione. E poi? Vige un sistema schizofrenico che dovrebbe essere sostituito da un tipo di attività e comunicazione che poggi sulla continuità. Peraltro è l’unico modo per contenere le spese pubbliche, ma soprattutto per migliorare la qualità della vita delle persone.
“La popolazione è sempre più anziana”
Ricordo – continua Rosati – che la popolazione è sempre più anziana, che le famiglie sono tendenzialmente composte da una sola persona, perlopiù donne, spesso pluripatologiche e in difficili condizioni economiche. Questo significa non avere un facile accesso ai servizi o alle strutture ospedaliere, ai poliambulatori. Se pensiamo a tutte le persone che vivono nella fascia appenninica, che rappresenta il 40% del territorio italiano, possiamo capire che c’è un grande problema di mobilità e quindi di spostarsi per andare a fare le cure.
Ci sono territori scoperti che non prevedono ospedali o anche le case delle comunità finanziate con il Pnrr. Come facciamo a gestire le patologie di queste persone sole? È necessario prendersi cura delle persone, dei loro bisogni, non solo clinici ma anche socio assistenziali in un sistema nuovo di welfare dove tutti gli attori siano concentrati sui percorsi di cura in collaborazione tra di loro a sostegno e a fianco delle persone.
L’intervista a Elio Rosati, medici di base
Dovrebbero esserci i medici di base…
Da 3-4 anni stiamo segnalando in alcuni distretti la carenza di medici di base e pediatri. Attualmente nel Lazio ci sono 4mila medici di base ma ne servirebbero 5600. Inoltre di questi 4mila, oltre 3mila sono over 60. Quindi presto andranno in pensione. In molti stanno cambiando medico ma spesso in zone molto distanti dalla propria abitazione. Di certo per le persone anziane sarà un problema. E parlando di pensioni, ieri al Congresso Nazionale Sumai Assoprof sono usciti fuori dati raccapriccianti: nel 2025 andranno in pensione 39mila medici in totale su una popolazione di medici di 120mila, ossia un terzo. Che facciamo? Non c’è un ricambio. Ieri su Repubblica Roma ho letto che al concorso per medici di base si sono presentati in 104 su oltre 500 posti.
Rosati: “Prossimi dati a febbraio 2024
Dai suoi discorsi sembrerebbe che i dati sulle liste di attesa che avete pubblicato a settembre non corrispondano a una realtà complessiva. A cosa servono?
Non sono dati certi. Nessuno li ha. E, infatti, il problema è che se nessuno ha dati per poter capire le diverse criticità, diventa difficile poter fare una programmazione. E come si fa? Questa domanda la rivolgo io agli interlocutori che hanno potere decisionale. Noi continuiamo a fare i monitoraggi per capire quello che succede dal punto di vista dei cittadini.
Lo faremo il prossimo febbraio anche per vedere se quello che è stato promesso dalla Regione Lazio nei confronti del privato accreditato, come ho già spiegato, è vero. Certo è che se passi da una percentuale di caricamento sul sistema Recup dall’1,5 al 70% ce ne dovremmo accorgere tutti nell’immediato. Però suppongo che se anche avvenisse non cambierebbe poi molto la situazione. Posso anche incrementare l’offerta con appuntamenti più ravvicinati ma ci sono professionisti per farlo? Forse il problema è strutturale e non lo vogliamo dire.
Dunque, il discorso dell’accesso delle prestazioni è dipendente dalle risorse umane professionali e da tutta la filiera per la presa in carico sul territorio per la gestione delle patologie che significa prevenzione. Poi c’è anche la telemedicina che, soprattutto per le malattie croniche, può essere un valido strumento per alleggerire l’accesso agli ospedali, ma non è risolutiva” conclude Rosati.