Il “long Covid” rappresenta una sfida crescente per i sistemi sanitari.
Secondo l’OMS, circa il 10-20% delle persone infette da COVID-19 sviluppa sintomi a lungo termine.
Finora le cause alla base della condizione erano in gran parte sconosciute, ma un nuovo studio fornisce un primo significativo passo avanti verso la comprensione e il trattamento del fenomeno.
L’importante risultato è il frutto di una collaborazione scientifica a livello globale che ha coinvolto 24 istituti di ricerca e ospedali internazionali in 16 nazioni in tutto il mondo.
L’Italia ha contribuito alla ricerca con studiosi dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università di Siena. E dell’Istituto di tecnologie biomediche del CNR, grazie alla partecipazione degli studi Fondazione COVID-19 Genomic e GEN-COVID.
Pubblicato su Nature Genetics, lo studio internazionale ha per la prima volta identificato nuove varianti genetiche associate al rischio di sviluppare la sindrome. Quest’ultima è nota per provocare stanchezza cronica, difficoltà cognitive e respiratorie, dolore muscolare.
Studio genetico internazionale sul Long Covid
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Un ampio studio genetico internazionale ha identificato nuove varianti genetiche associate al rischio di sviluppare il “long Covid”. È questa una condizione debilitante che colpisce milioni di persone nel mondo anche mesi dopo la guarigione dall’infezione acuta da SARS-CoV-2. È caratterizzata da sintomi come stanchezza cronica, difficoltà cognitive e respiratorie e dolore muscolare.
Lo studio di associazione sull’intero genoma (GWAS) ha analizzato i dati genetici di 6.450 pazienti con “long Covid” e oltre un milione di individui senza questa sintomatologia. Ed ha individuato un locus genetico, ovvero uno specifico punto nel genoma, sul cromosoma 6, in prossimità del gene FOXP4. Questo è già noto in letteratura per il suo ruolo nelle infezioni respiratorie e nella risposta immunitaria.
Il risultato è stato validato su altri 9.500 pazienti e oltre 700.000 controlli. Il locus risulta essere positivamente associato alla predisposizione a sviluppare sintomi caratteristici del “long Covid”. Il rischio di sviluppare tale patologia è aumentato di quasi il 60% nei soggetti che hanno nel proprio DNA la variante genetica identificata nello studio.
La genetica individuale influenza la risposta al long Covid
La ricerca fornisce un’evidenza concreta di come la genetica individuale possa influenzare la suscettibilità al “long Covid”. Questo permetterà di identificare le persone a rischio, ma non solo, sarà anche utile per migliorare la pratica clinica nella cura della sintomatologia.
Lo studio rappresenta un ottimo esempio di collaborazione internazionale, essenziale per ottenere risultati solidi e di grande rilevanza per la salute dei pazienti. Soprattutto in studi genetici di questo tipo, fondamentali per identificare fattori di rischio individuale ad alcune patologie complesse. E per comprendere i meccanismi molecolari alla base di alcune patologie, molto spesso non noti.
Il progetto e il contributo dell’Italia
Il progetto è stato guidato dall’Institute for Molecular Medicine Finland (FIMM) di Helsinki e dal prestigioso Karolinska Institutet (Stoccolma, Svezia). L’Italia ha dato un contributo significativo grazie alla partecipazione della Fondazione COVID-19 Genomic Study. Ed anche della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e GEN-COVID, un consorzio formato da più di 40 ospedali italiani. Il consorzio è guidato da Alessandra Renieri dell’Università degli Studi di Siena e Azienda ospedaliero-universitaria Senese con il cofinanziamento di PNRR THE -Tuscany Health Ecosystem spoke.
I dati dei due studi sono stati analizzati grazie alla collaborazione di. Luca Valenti, dell’Università degli Studi di Milano, e delle ricercatrici Francesca Colombo e Francesca Minnai dell’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Itb).
Fonte: CNR