In Italia il tumore del pancreas resta una delle neoplasie più difficili da intercettare e curare, ma la sopravvivenza sta lentamente migliorando grazie ai progressi della ricerca. Ogni anno circa quattordicimila persone ricevono questa diagnosi e, nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi anni, solo una minoranza può accedere alla chirurgia potenzialmente risolutiva. Tuttavia, cresce il numero dei pazienti vivi dopo il trattamento e si rafforza una rete di centri dedicati, le Pancreas Unit, nata per assicurare percorsi più efficaci e percorsi diagnostici più rapidi.
Il dato che apre uno spiraglio concreto arriva dal confronto degli ultimi anni: nel 2024 erano 23.600 le persone vive dopo la diagnosi, contro le 21.200 del 2021. Un aumento del dieci per cento in tre anni che segnala un lento ma significativo avanzamento verso terapie più precise e assistenza meglio organizzata. Rimane però un elemento critico: solo un paziente su cinque scopre la malattia quando è ancora operabile. Gli altri arrivano alla diagnosi in fase avanzata, spesso con metastasi già diffuse.
Perché questo tumore è così difficile da individuare
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Il pancreas è un organo silenzioso. Le neoplasie pancreatiche danno pochi segnali precoci, spesso sfumati o facilmente confondibili con disturbi comuni. In assenza di programmi di screening universali, la diagnosi precoce si basa sull’attenzione ai sintomi e sulla consapevolezza dei fattori di rischio.
Secondo Silvia Carrara, presidente dell’Associazione Italiana Studio Pancreas, a incidere maggiormente sono fumo, obesità, diabete e pancreatite cronica. Quest’ultima rappresenta una delle conseguenze più severe dell’abuso di alcol e aumenta significativamente la possibilità di sviluppare una lesione tumorale nel tempo. Esiste poi un gruppo di pazienti con rischio ereditario, che rappresenta circa il dieci per cento dei casi totali. In queste famiglie si osservano mutazioni come quella del gene BRCA2, la sindrome di Peutz-Jeghers, la sindrome di Lynch o condizioni come la pancreatite ereditaria. Sono situazioni in cui il monitoraggio deve essere regolare e condotto in centri molto esperti, perché il rischio cumulativo può salire in modo considerevole.
Il quadro dei sintomi è altrettanto complesso. Dolore persistente nella parte alta dell’addome o nella schiena, un calo di peso improvviso, feci chiare e oleose, diarrea ingiustificata o l’insorgenza improvvisa di diabete in età adulta possono essere segnali da non ignorare. Il presidente di Fondazione Aiom, Francesco Perrone, ricorda che anche la comparsa di trombi nelle gambe senza cause apparenti merita un confronto tempestivo con il medico, soprattutto in persone giovani.
La Giornata mondiale e il bisogno di informazione
Non sorprende che la Giornata mondiale del tumore del pancreas, promossa ogni anno dal World Pancreatic Cancer Coalition, abbia scelto “La diagnosi precoce è importante” come slogan per il 2025. Il messaggio invita a non sottovalutare segnali apparentemente banali e spinge verso un dialogo più immediato tra pazienti e medici.
Quest’anno l’Italia ospita un evento centrale presso l’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli, un’occasione per parlare dei progressi scientifici e del ruolo delle associazioni nel sostenere pazienti e familiari. In questa cornice nasce anche la Fondazione Nadia Valsecchi – Sezione Pazienti di Napoli, un nuovo spazio dedicato all’ascolto e all’informazione, elementi fondamentali in un percorso che può essere emotivamente complesso.
Durante l’appuntamento verranno presentati anche aggiornamenti significativi sul fronte terapeutico. Alfredo Budillon, direttore scientifico del Pascale, anticipa il potenziale dei vaccini terapeutici e delle indagini molecolari applicate ai prelievi di sangue, strumenti che potrebbero facilitare diagnosi più tempestive nelle persone ad alto rischio. Antonio Avallone, responsabile dell’Oncologia Medica Addominale, sottolinea invece l’arrivo di farmaci mirati contro RAS, una delle alterazioni molecolari più frequenti nel tumore del pancreas.
Le Pancreas Unit: un nuovo modello organizzativo che può cambiare davvero gli esiti
Negli ultimi anni si è fatto sempre più chiaro che il tumore del pancreas richiede centri altamente specializzati. Non solo per la chirurgia, tra le più complesse dell’intero ambito oncologico, ma per l’intero percorso diagnostico e terapeutico. Da questa esigenza nasce la rete delle Pancreas Unit, formalizzata dal Ministero della Salute nel luglio 2025 e ispirata a modelli europei già consolidati.
Le Pancreas Unit uniscono gastroenterologi, endoscopisti, chirurghi, oncologi, radiologi, patologi, nutrizionisti e palliativisti, creando un flusso di comunicazione che riduce il rischio di ritardi diagnostici e aumenta l’efficacia del percorso. L’obiettivo è offrire cure omogenee su tutto il territorio, evitare disparità regionali e garantire che ogni persona con una patologia pancreatica abbia accesso al miglior trattamento possibile.
La Lombardia ha fatto da apripista con una rete organizzata di quattordici centri Hub e numerosi Spoke, sviluppata a partire dal 2022. I criteri sono stringenti: un numero minimo di resezioni pancreatiche, una mortalità operatoria sotto l’otto per cento, riunioni multidisciplinari frequenti e un approccio standardizzato. È un sistema che oggi rappresenta il punto di riferimento per la Cabina di Regia nazionale.
Tuttavia, come ricorda Luca Frulloni, presidente della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, per rendere questo modello pienamente operativo servono interventi strutturali: più formazione, nuovi specialisti, registri clinici nazionali aggiornati, procedure endoscopiche e radiologiche avanzate incluse nei LEA. Inoltre, serve un impegno costante nella ricerca multicentrica, sostenuta da reti condivise e piattaforme comuni.
La ricerca come motore del cambiamento
La speranza più concreta arriva dalla ricerca, che negli ultimi anni ha iniziato a esplorare direzioni nuove e promettenti. L’Italian Pancreatic Cancer Community (I-PCC) lavora proprio in questa direzione, creando una rete che riunisce ventotto laboratori italiani impegnati nello sviluppo di approcci innovativi. La co-fondatrice Enza Lonardo ricorda quanto sia essenziale la collaborazione tra ricerca di base e ricerca traslazionale, perché solo l’integrazione dei due aspetti permette di trasformare una scoperta in una terapia.
Le tecniche di sequenziamento avanzate, le biopsie liquide, i vaccini terapeutici, i nuovi farmaci mirati e le combinazioni tra immunoterapia e chemioterapia sono solo alcune delle linee di studio che stanno aprendo prospettive impensabili fino a pochi anni fa. Molti di questi approcci sono ancora in fase sperimentale, ma rappresentano un segnale chiaro: la storia clinica del tumore del pancreas non è immutabile.
Tumore del pancreas: una sfida ancora grande
Nonostante i progressi, resta una malattia complessa, che cresce rapidamente e si manifesta tardi. Tuttavia, il modo in cui la comunità scientifica, le istituzioni e le associazioni stanno rispondendo mostra un movimento deciso verso una gestione più efficiente e un dialogo più aperto con i pazienti.
Il numero crescente di persone vive dopo la diagnosi racconta un cambiamento reale, sostenuto da terapie più efficaci e da reti più organizzate. Le Pancreas Unit rappresentano un passaggio decisivo per garantire equità di cura e ridurre la mortalità operatoria. La ricerca continua ad ampliare il ventaglio delle possibilità terapeutiche.
Il tumore del pancreas resta una sfida difficile, ma oggi non è più una battaglia isolata. È una battaglia condivisa, che unisce centri specialistici, professionisti, famiglie e pazienti all’interno di un percorso che, passo dopo passo, sta diventando più consapevole, più coordinato e finalmente più efficace.
