Uno studio internazionale coordinato dal Dana-Farber Cancer Institute in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) ha identificato un potenziale biomarcatore. Quest’ultimo è in grado di predire la maggiore efficacia dell’immunoterapia nei casi di tumore al polmone.
La ricerca ha rivelato che una mutazione genetica è associata a una risposta più efficace e duratura all’immunoterapia. La mutazione è presente in circa il 5% dei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule.
Gli esperti hanno pubblicato i risultati sulla rivista Annals of Oncology. Ciò apre la strada a nuovi sviluppi terapeutici. In un prossimo futuro, potrebbe essere possibile potenziare l’efficacia dell’immunoterapia agendo proprio sul gene DNMT3A con farmaci che ne modulano l’attività.
Lo studio internazionale ha coinvolto oltre 1.500 pazienti in centri di eccellenza. Tra questi il Dana-Farber di Boston, il Memorial Sloan Kettering di New York, il Gustave Roussy in Francia e l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena. Un ruolo chiave lo ha rivestito il giovane ricercatore Stefano Scalera, under 40 dell’IFO, che ha contribuito alle analisi bioinformatiche.
Tumore al polmone, speranze dall’immunoterapia
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L’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento del tumore al polmone, ma solo una parte dei pazienti ne trae beneficio.
“Comprendere perché alcuni rispondono e altri meno – fa sapere l’IRE con una nota – è una delle grandi sfide dell’oncologia di precisione. Oggi un passo importante arriva da uno studio che ha identificato nella mutazione del gene DNMT3A un potenziale biomarcatore di risposta all’immunoterapia. Questo nei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule. In parole semplici: è come se, nei tumori con questa mutazione, si accendessero dei ‘fari’ che attirano meglio le difese immunitarie. I pazienti con la mutazione hanno mostrato tassi di risposta quasi doppi rispetto agli altri, oltre a una sopravvivenza globale significativamente più lunga”.
«Questa nuova evidenza – sottolinea Federico Cappuzzo, Direttore dell’Oncologia Medica 2 dell’IRE – dimostra quanto sia strategica la comprensione delle alterazioni molecolari per selezionare meglio i pazienti e massimizzare l’efficacia dell’immunoterapia».
Scelte terapeutiche più mirate e personalizzate
Gli studiosi hanno osservato checirca un paziente su 20 con tumore del polmone non a piccole cellule presenta la mutazione del gene DNMT3A. Questo gene è coinvolto in un processo naturale chiamato metilazione, che regola l’attività dei geni agendo come un interruttore. Può, infatti, “spegnerli” senza modificare il loro codice. La sua mutazione sembra rendere il tumore più riconoscibile al sistema immunitario e quindi più vulnerabile all’azione degli inibitori del checkpoint immunitario (PD-1/PD-L1).
«La scoperta – spiega Marcello Maugeri-Saccà, co-autore senior dello studio e ricercatore clinico presso il Clinical Trial Center dell’IFO – ci consente di identificare un sottogruppo di pazienti. Sono quelli che possono beneficiare in modo particolarmente efficace dell’immunoterapia, rendendo le scelte terapeutiche più mirate e personalizzate”.