Risarcimento dei danni da stress lavoro correlato

Lo stress lavoro-correlato è un fenomeno sempre più comune nel mondo del lavoro moderno, caratterizzato da ritmi frenetici, pressioni costanti e aspettative elevate. Quando queste condizioni diventano troppo gravose e persistono nel tempo, possono causare danni fisici e psicologici ai lavoratori. Lo stress da lavoro può portare in alcuni casi a patologie invalidanti come depressione, ansia cronica o malattie cardiovascolari, e può essere oggetto di risarcimento se il lavoratore riesce a dimostrare che tale condizione è riconducibile al contesto lavorativo.

In questa guida vediamo punto per punto come funziona la richiesta di risarcimento, in quali casi si configura lo stress lavoro correlato e quali sono le principali sentenze e chiarimenti giuridici in merito.

Il risarcimento da stress lavoro-correlato è regolato in Italia da specifiche norme che tutelano i lavoratori e impongono ai datori di lavoro l’obbligo di prevenire e ridurre i rischi psico-sociali sul luogo di lavoro. Vediamo quali sono le norme di riferimento in Italia, come viene stabilito il nesso causale tra stress e ambiente lavorativo e come funziona l’onere della prova in caso di richiesta di risarcimento. Infine, esploreremo la possibilità di ottenere un risarcimento anche in assenza di mobbing, un fenomeno che spesso si sovrappone ma che non è l’unica causa di stress.

Cos’è lo stress lavoro-correlato? Una definizione

Lo stress lavoro-correlato si verifica quando le richieste e le pressioni legate all’attività lavorativa eccedono le capacità e le risorse del lavoratore. Gli rendono in questo modo difficile o impossibile affrontarle in modo efficace. Si tratta di una condizione che può evolversi in sindrome da burnout, uno stato di esaurimento psicofisico che compromette la qualità della vita e la produttività lavorativa.

Secondo la Direttiva Europea 89/391/CEE sulla sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, lo stress lavoro-correlato è una delle condizioni da monitorare attentamente, poiché può compromettere non solo la salute del lavoratore ma anche il buon funzionamento dell’organizzazione stessa.

In Italia, questa direttiva è stata recepita con diverse norme. Esse pongono l’accento sul dovere del datore di lavoro di valutare non solo i rischi fisici, ma anche quelli psicosociali. Lo stress da lavoro può manifestarsi in vari modi, tra cui:

  • Sovraccarico di lavoro: carichi di lavoro eccessivi, scadenze continue, mansioni complesse senza adeguato supporto.
  • Ambiguità del ruolo: incertezze sui compiti e sulle responsabilità, mancanza di chiarezza nei ruoli.
  • Scarso controllo: impossibilità di influenzare le decisioni che riguardano il proprio lavoro.
  • Mancanza di riconoscimento: mancanza di gratificazioni o apprezzamenti per il lavoro svolto.
  • Conflitti interpersonali: problemi di comunicazione o relazioni tese con colleghi o superiori.
  • Turni irregolari: cambiamenti frequenti di orario, turni notturni o prolungati.

Queste situazioni possono contribuire a generare uno stato di stress cronico, che se non adeguatamente gestito può sfociare in malattie psichiche o fisiche.

Norme di riferimento in Italia sulla tutela dei lavoratori

In Italia, la tutela del lavoratore contro lo stress lavoro-correlato è prevista dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008). Esso impone al datore di lavoro l’obbligo di valutare e prevenire i rischi per la salute e la sicurezza dei dipendenti, inclusi i rischi di natura psicosociale.

Lo stress lavoro-correlato viene riconosciuto come un rischio alla pari degli altri rischi professionali. Quindi come quelli chimici o fisici, e deve essere oggetto di un’accurata valutazione e gestione.

Le principali norme di riferimento sono:

  • Decreto Legislativo 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro): obbliga il datore di lavoro a effettuare una valutazione globale dei rischi sul luogo di lavoro, inclusi i rischi di natura psicosociale, come lo stress lavoro-correlato.
  • Accordo Europeo sullo Stress sul Lavoro del 2004: definisce lo stress lavoro-correlato e impone ai datori di lavoro di adottare misure preventive per ridurlo.
  • Direttiva Europea 89/391/CEE: stabilisce il principio generale che la sicurezza e la salute dei lavoratori devono essere garantite in tutti gli aspetti connessi all’attività lavorativa, inclusi i rischi psicosociali.

Il datore di lavoro ha quindi il dovere di valutare i rischi per la salute dei lavoratori. Deve adottare misure preventive adeguate. Aggiornare periodicamente questa valutazione per garantire che l’ambiente di lavoro sia sicuro da ogni punto di vista, inclusi i fattori di stress.

Il mancato rispetto di queste norme può configurare una responsabilità del datore di lavoro. E dare quindi origine a una richiesta di risarcimento danni da parte del lavoratore.

Nesso causale e onere della prova: come funzionano?

Quando un lavoratore subisce danni alla salute a causa dello stress lavoro-correlato, per poter ottenere un risarcimento è fondamentale stabilire il nesso causale tra lo stress e l’ambiente di lavoro.

Questo significa che il lavoratore deve dimostrare che le sue condizioni di salute sono direttamente riconducibili a determinati fattori. Legati all’organizzazione del lavoro e che il datore di lavoro non ha adottato adeguate misure per prevenire tali rischi.

Come si stabilisce il nesso causale?

Stabilire il nesso causale in un caso di stress lavoro-correlato richiede un’analisi approfondita delle condizioni di lavoro e della salute del lavoratore. Per dimostrare il nesso causale occorrono:

  1. Documentazione medica: il lavoratore deve fornire documentazione clinica che attesti l’esistenza di patologie riconducibili allo stress, come depressione, ansia, disturbi psicosomatici o malattie cardiovascolari.
  2. Valutazione delle condizioni di lavoro: deve essere dimostrato che le condizioni lavorative erano tali da provocare un livello di stress tale da compromettere la salute del lavoratore. Attraverso testimonianze, rapporti di sicurezza sul lavoro, comunicazioni interne che dimostrano carichi di lavoro eccessivi o la mancanza di supporto da parte del datore di lavoro.
  3. Prove relative alla prevenzione del rischio: il lavoratore può inoltre dimostrare che il datore di lavoro non ha rispettato gli obblighi di prevenzione previsti dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro.

L’onere della prova grava sul lavoratore

In un caso di stress lavoro-correlato, l’onere della prova grava principalmente sul lavoratore. Questo significa che spetta al lavoratore dimostrare:

  • L’esistenza di un danno alla salute.
  • Il nesso causale tra il danno e le condizioni di lavoro.
  • L’omissione o la negligenza del datore di lavoro nell’adozione di misure preventive.

Tuttavia, il datore di lavoro ha a sua volta l’onere di provare che ha adottato tutte le misure previste dalla normativa per prevenire il rischio di stress lavoro-correlato. Se il datore di lavoro non riesce a dimostrare di aver rispettato gli obblighi di legge, può essere ritenuto responsabile del danno subito dal lavoratore.

L’art. 2087 c.c. stabilisce infatti che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

In mancanza di queste particolari misure, sarà il datore di lavoro ad essere responsabile dei danni subiti dal lavoratore. Non si tratta di una norma che sancisce una responsabilità oggettiva. Rimane infatti in capo al lavoratore che lamenti di avere subito un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso tra l’uno e l’altra.

Onere della prova del datore di lavoro

Solo se il lavoratore ha fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno. E che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

La dimostrazione deve essere raggiunta almeno in termini di probabilità. Con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata ed intensità dell’esposizione a rischio.

Rispetto all’evento dannoso, l’attività lavorativa deve avere assunto un ruolo quantomeno concausale. Una volta provato lo stress lavorativo intenso e prolungato, al quale il lavoratore sia stato esposto in violazione dell’obbligo di sicurezza, si potrà ottenere il risarcimento del danno subito.

Elenco della documentazione per provare il nesso causale e il danno subito

  • Percorso clinico tramite centri specializzati nelle patologie legate allo stress e al mobbing o tramite figure professionali quali psicologo, psicoterapeuta o psichiatra;
    Certificazione medica: in caso di assenze per malattia la diagnosi del medico di base deve attestare che la patologia è riconducibile al contesto lavorativo (non basta depressione, ansia, ecc. ma far inserire “problematiche in ambito lavorativo”); il percorso clinico va affrontato contestualmente (o meglio ancora antecedente) al percorso legale.
  • Perizia medico legale per il danno biologico redatta dal medico legale forense.
  • A ciò si aggiungono:
  • 1) fogli presenza sul lavoro;
  • 2) turnistiche;
  • 3) ordini di servizio non attinenti al ruolo, rischiosi, incombenze, troppo gravosi;
  • 4) qualsiasi documento utile a ricostruire la fattispecie (tabulati telefonate, mail).

Grava invece sul datore di lavoro l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento. Ovvero di aver garantito, direttamente o tramite fattiva vigilanza e intervento sull’operato dei collaboratori, la protezione legislativamente richiesta ex art. 2087 c.c.

Il danno non patrimoniale: “deve essere allegato e provato con documenti, testimonianze o anche ricorrendo alle presunzioni” (s.u. 11/11/2008 n. 26972). Spesso per la valutazione del danno biologico ma anche per quello esistenziale e morale viene richiesta la consulenza tecnica d’ufficio (ctu).

Risarcimento anche in assenza di mobbing

Molte persone associano lo stress lavoro-correlato al mobbing. Ossia a una serie di comportamenti vessatori o persecutori attuati da colleghi o superiori con l’intento di isolare o danneggiare il lavoratore. Tuttavia, è importante sottolineare che lo stress lavoro-correlato può configurarsi anche in assenza di mobbing.

Il risarcimento per stress lavoro-correlato infatti è possibile anche quando non c’è intenzionalità persecutoria, ma solo una cattiva gestione del lavoro o delle condizioni organizzative. Questo è particolarmente rilevante in contesti lavorativi in cui:

  • Il carico di lavoro è eccessivo o sproporzionato rispetto alle capacità del singolo lavoratore.
  • Il controllo del lavoro da parte del datore è insufficiente o errato, ad esempio non vengono concessi adeguati tempi di riposo o ferie.
  • Le relazioni interpersonali in azienda sono caratterizzate da conflitti non gestiti.
  • L’ambiente di lavoro è privo di strumenti di supporto psicologico o di procedure per gestire lo stress.

Pertanto, anche in assenza di comportamenti qualificabili come mobbing, se un lavoratore si ammala a causa di uno stato di stress prolungato legato alle condizioni lavorative, può avere diritto a un risarcimento.

La Corte di Cassazione e il danno stress correlato in assenza di mobbing

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza 16.02.2024, n. 4279 recita che è “illegittimo che il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori, lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, cioè nociva, ancora secondo il paradigma di cui all’art. 2087 c.c.”.

La Cassazione invita così a riflettere sulla gestione dello stress in ambiente di lavoro e comprendere come stabilire in maniera oggettiva e chiara i parametri per rendere conoscibili a tutto il personale le condizioni di lavoro in un determinato ambiente.

La valutazione dello stress lavoro correlato, obbligatoria in ogni ambiente di lavoro, diventa quindi anche un’opportunità per il datore di lavoro, per dimostrare concretamente la buona gestione della propria attività.