Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha introdotto una riforma dell’assistenza territoriale. Tutto parte dall’esperienza Covid che ha messo in risalto i limiti di un sistema. Negli ultimi decenni infatti l’assistenza territoriale è andata sfaldandosi aumentando la pressione sulle strutture ospedaliere.
La riforma in corso è un tentativo di ridisegnare il sistema sanitario nazionale, spostando il focus dall’ospedale al territorio. Questo per garantire un accesso più capillare e uniforme ai servizi sanitari.
In questa pagina vediamo quali sono le caratteristiche della riforma e gli obiettivi e capiamo insieme come cambierà l’assistenza territoriale in Italia.
Cos’è la riforma dell’assistenza territoriale in Italia?
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La riforma è nota anche come Decreto Ministeriale 71 (DM71). L’obiettivo della riforma è quello di realizzare una rete di cure più vicina ai cittadini. Dovrebbe comprendere sia l’assistenza primaria sia servizi innovativi come la telemedicina. Puntando così a ridurre il sovraccarico ospedaliero e a migliorare la gestione delle cronicità.
Obiettivi della riforma e principali cambiamenti: quali sono?
La riforma è in linea con gli obiettivi della “Missione Salute” del PNRR. Lo scopo, come già detto, è di migliorare l’accessibilità alle cure sul territorio tramite la creazione di una rete di Case della Comunità e Ospedali di Comunità.
Questi nuovi presidi non sono sostituti degli ospedali tradizionali, ma servono a fornire una gamma di servizi per la cura e la gestione dei pazienti con bisogni meno complessi.
Secondo il piano le Case della Comunità, distribuite capillarmente in tutte le regioni, devono offrire servizi medici di base, diagnostici e assistenza per le cronicità, garantendo un supporto continuativo ai pazienti e alleggerendo le strutture ospedaliere. Ne è prevista una ogni 50.000/100.000 abitanti.
Gli Ospedali di Comunità, invece, sono dedicati a pazienti che necessitano di ricoveri brevi per condizioni che non richiedono il livello di intensità di cura di un ospedale tradizionale, come gli anziani con problemi cronici che necessitano di stabilizzazione.
Le strutture e i servizi previsti dalla riforma dell’assistenza territoriale
Il piano prevede l’apertura di oltre 1.000 Case della Comunità e circa 300 Ospedali di Comunità, distribuiti secondo i bisogni specifici delle regioni. Le Case della Comunità saranno dotate di personale sanitario multidisciplinare (medici, infermieri, assistenti sociali) e di apparecchiature diagnostiche di base, come ecografi e spirometri, pensate per la gestione quotidiana dei pazienti cronici.
Questi centri offriranno anche accesso alla telemedicina, permettendo così a molti pazienti di monitorare la propria salute a distanza e riducendo la necessità di visite di persona, uno strumento particolarmente utile per chi vive in aree rurali o difficilmente raggiungibili.
Telemedicina e Centrali Operative Territoriali: come funzionano?
La telemedicina è un elemento centrale nella riforma e prevede l’uso della tecnologia per monitorare e curare i pazienti a distanza. Ciò è cruciale per la gestione delle malattie croniche e per ridurre gli spostamenti per visite o controlli medici non necessari.
Parallelamente, le Centrali Operative Territoriali (COT) coordineranno i servizi tra ospedali e assistenza domiciliare per una presa in carico efficace dei pazienti, monitorando i bisogni in tempo reale e indirizzando le cure nel luogo più adatto.
Secondo il piano entro il 2025 saranno almeno 200.000 le persone assistite con la telemedicina.
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Centrali Operative Territoriali: quante e come
La Centrale Operativa Territoriale svolge una funzione di coordinamento della presa in carico
della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali: attività territoriali, sanitarie e sociosanitarie, ospedaliere e dialoga con la rete emergenza/urgenza. Ne è prevista una ogni 100.000 abitanti.
Unità di Continuità Assistenziale: cos’è e come funziona
Almeno 1 medico e 1 infermiere ogni 100.000 abitanti. L’UCA supporta per un tempo definito i professionisti responsabili della presa in carico del paziente e della comunità.
Viene attivata per condizioni clinico-assistenziali di particolare complessità e comprovata
difficoltà operativa di presa in carico. Dotata di un sistema integrato comprendente una moderna infrastruttura di telemedicinacollegata alle Centrali Operative Territoriali, anche per attivare il teleconsulto o Sede operativa: CdC hub.
Criticità della riforma dell’assistenza territoriale e commenti
Nonostante le intenzioni positive, la riforma presenta alcune criticità. La realizzazione delle Case della Comunità è stata ridotta da 1.350 a 1.038 strutture, e anche il numero degli Ospedali di Comunità e delle COT è stato ridimensionato. Questi tagli sollevano dubbi sull’effettiva capacità della riforma di migliorare la copertura territoriale in tutte le regioni, specialmente nel Centro-Sud, che rischia di ricevere meno risorse rispetto al Nord.
Per quanto riguarda la telemedicina, invece, essa rischia di essere un buco nell’acqua se non supportata da altri elementi. In altre parole, senza un maggiore supporto infrastrutturale e formativo e nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) è difficile che diventi uno strumento di utilizzo comune e sostenibile nel tempo.
Alcuni osservatori, come la Fondazione GIMBE, hanno messo in evidenza che la riforma rischia di lasciare scoperte alcune necessità strutturali, come la presenza di posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva, ridotti nell’ultima versione del piano. Sarà fondamentale evitare ritardi e garantire inoltre una distribuzione equa delle risorse tra le diverse regioni.