I medici universitari stanno tagliando pesantemente le prospettive di carriera dei medici ospedalieri. Le Università stanno occupando gli ospedali, un fenomeno che scuote i sindacati ANAAO-ASSOMED, CIMO-FESMED e la società scientifica ACOI (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani).
La cosiddetta “clinicizzazione” delle strutture sanitarie è in costante espansione, andando ben al di là delle necessità dettate dalla didattica e dalla ricerca. Si è di fronte a una mera occupazione di spazi e di potere e ad una minaccia per gli ospedalieri.
Reparti affidati a professori universitari nominati dal Rettore
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Secondo i suddetti sindacati, si assiste frequentemente all’ampliamento, sulla base di accordi siglati da Atenei e Regioni, delle attività didattiche in reparti. O in intere strutture assistenziali che in molti casi non hanno nemmeno i numeri o la casistica necessari a giustificare la presenza dell’Università. La direzione di tali unità operative viene affidata a professori universitari nominati dal Rettore che, pertanto, non devono superare un concorso. Come, invece, richiesto agli ospedalieri che ambiscono a diventare direttori di struttura.
All’improvviso, dunque, gli ospedalieri si ritrovano senza alcuno sbocco di carriera. Non solo, devono anche farsi carico della responsabilità di occuparsi della formazione pratica dei medici specializzandi affidati a quel determinato reparto. Senza percepire alcun compenso aggiuntivo.
Urge un intervento del Ministero della Salute
ANAAO ASSOMED, CIMO-FESMED e ACOI chiedono al Ministero della Salute e alla Conferenza delle Regioni di intervenire urgentemente. È necessario porre fine a un espansionismo senza controllo che calpesta i diritti dei medici ospedalieri.
«Ci rifiutiamo di condannare i medici ospedalieri a cedere spazi e competenze all’Università e relegarli nella riserva di un SSN povero e per i poveri». Così Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale ANAAO ASSOMED. Non si può lasciare «ad altri il ‘lusso’ della formazione, della didattica e dell’assistenza nei settori ad alta specializzazione. È necessario un intervento deciso per rendere i rapporti Università-SSN meno conflittuali e più rispettosi dei reciproci fini istituzionali. Anche per costruire – ribadisce Di Silverio – il livello di integrazione necessario a superare il vissuto da “separati in casa” che caratterizza la situazione attuale».
Sempre più medici si allontaneranno dal SSN
Siamo in un momento di particolare crisi dei medici ospedalieri, costretti a lavorare in condizioni difficilissime per far fronte alle gravi carenze di personale. Per questo motivo «è intollerabile – dichiara Guido Quici, presidente CIMO-FESMED – aggiungere ulteriori cause di demotivazione, che spingeranno sempre più colleghi ad allontanarsi dal SSN. Occorre definire in modo chiaro e trasparente la dotazione strutturale e l’organizzazione necessarie alla didattica e alla ricerca, al fine di evitare di disperdere risorse fondamentali. E di creare una reale collaborazione tra Università e ospedali nel rispetto delle funzioni e dei ruoli di ciascuno. Dando, così, vita agli ospedali di insegnamento per garantire una formazione di qualità ai medici specializzandi».
Il medico ha conoscenza teorica e capacità operativa
La professione medica è importante e delicata e «vive quotidianamente tra formazione permanente e azioni sul campo», aggiunge Vincenzo Bottino, Presidente ACOI. Fondamentali si rivelano «elementi come la professionalità, la capacità di gestire il team. O il supporto agli specializzandi, il rapporto con i pazienti, la direzione delle unità operative. Ciò – continua il Presidente – dovrebbe premiare, o quantomeno mettere in condizione di partecipare, anche le figure professionali che conoscono bene le dinamiche delle sale operatorie. E che sono supportate da percorsi accademici e formativi di livello».
La professione del medico salva la vita delle persone: «per farlo, serve una straordinaria conoscenza teorica, ma anche una necessaria capacità operativa. Decidere di premiare solo una di queste due competenze – oggi evidentemente la prima – significa mettere a rischio la vita dei nostri pazienti. Forse è bene ricordarlo a tutti, anche ai più distratti che hanno potere decisionale», conclude Bottino.