Sono un vero mistero per i clinici a causa della difficoltà di inquadrarle come forme benigne o maligne. Si tratta dei tumori Mucinosi Papillari Intraduttali (IPMN) del pancreas, una delle tante neoplasie che interessano questo organo.

La loro peculiarità è che la stratificazione del rischio si è avvalsa finora solo di fattori clinici e radiologici. Questo perché non si dispone di un biomarcatore di malignità. Ciò crea incertezze di classificazione che si ripercuotono sulla scelta di avviare o meno il paziente verso un trattamento chirurgico demolitivo o continuare la sorveglianza.

Di recente, un gruppo di ricercatori ha individuato dei biomarcatori tessutali specifici, una sorta di impronta digitale molecolare. Questa consente di distinguere con certezza le forme benigne da quelle ad alto grado di malignità o ad alto rischio di trasformazione maligna.

Uno studio sul pancreas pubblicato su ‘Nature Communications’

Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca di Giampaolo Tortora, ordinario di Oncologia medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato pubblicato su ‘Nature Communications’.

Il lavoro dei ricercatori ha consentito di individuare sul tessuto tumorale le ‘firme molecolari’ che indicano una displasia di basso grado. Ma anche quelle dei casi ‘borderline’ e infine i marcatori di displasia di alto grado, cioè delle forme sicuramente maligne.

Lo studio fornisce, dunque, un importante nuovo strumento diagnostico per differenziare le lesioni pancreatiche pre-tumorali benigne da quelle maligne. E getta anche luce sul ruolo dell’attivazione di alcuni geni (TNFalfa e MYC) nella progressione degli IPNM da una forma benigna a una maligna.

Creare un registro italiano degli IPMN

Le neoplasie mucinose papillari intraduttali pancreatiche sono lesioni cistiche che si sviluppano all’interno dei dotti pancreatici. Contengono al loro interno dei ‘tralci’ di tessuto (proiezioni papillari) rivestiti di epitelio mucoso. La frequenza di queste cisti dal comportamento incerto, che si scoprono per caso con una TAC o una RMN fatta per altro motivo, è in aumento. E cresce con l’avanzare dell’età.

«Una necessità assoluta è quella di creare un registro italiano degli IPMN – afferma Tortoraperché siamo certi che il loro numero sia ampiamente sottostimato. Questi tumori originano dai dotti pancreatici, sono considerati precursori dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), una neoplasia estremamente aggressiva per la quale si dispone di limitate opzioni terapeutiche. Le forme considerate ad alto rischio (sulla base del quadro TAC) vengono sottoposte subito a intervento chirurgico. Mentre quelle a basso rischio, a sorveglianza (cioè a RMN ogni 6 mesi)».

È determinante definire le caratteristiche di benignità

Una volta fatta la diagnosi di IPMN, il paziente viene sottoposto a RMN ogni 6 mesi. Ciò per tenere sotto controllo la lesione e sottoporla a biopsia se cambia aspetto.

«Finora – spiega Tortorala stratificazione del rischio degli IPMN veniva fatto solo in base alle caratteristiche cliniche e radiologiche. Non si disponeva di criteri che tenessero conto della loro biologia. Questo fa sì che fino al 10% degli IPMN considerati a ‘basso rischio’ sfugga a una corretta valutazione. E nel tempo, possa dar luogo a un tumore aggressivo».

La ricerca condotta presso l’Università Cattolica e il Policlinico Gemelli contribuisce all’individuazione delle lesioni ad alto potenziale di trasformazione maligna. «È un’indicazione importante – evidenzia l’oncologo – perché è fondamentale individuare le lesioni ad alto rischio di trasformazione maligna. Altrettanto determinante è definire le caratteristiche di ‘benignità’, per evitare ai pazienti un intervento chirurgico inutile, molto invasivo e non privo di rischi».