Oikoumene, da casa a inferno comune dei popoli del Mediterraneo. Il ritorno di Dragut – l’editoriale di Ruggero Alcanterini
Per la mitica Oikoumene (la parte della Terra dove l’essere umano trova le condizioni adatte a stabilirsi), l’escalation di sbarchi sulle coste calabresi e siciliane, che si determina sempre di più come strumento di pressione politica ed economica negli Stati e tra gli Stati, non è altro che un episodio ulteriore nel divenire di una storia millenaria basata sulla compravendita degli umani. Ieri si trattava di tirrenici, jonici e adriatici da trasferire nei mercati asiatici e nordafricani. Oggi, avviene il contrario. Trasferendo disperati dall’universo mondo verso le coste italiche, naturalmente sempre dietro pagamento o forme di riscatto.
Questa attività inconcepibile nel Terzo Millennio è altresì compatibile con tutte le forme di guerra, guerriglia e terrorismo. Non soltanto armato, che stravolgono in modo esponenziale ogni naturale equilibrio. Diciamo che paradossalmente gli “scafisti” o meglio gli organizzatori dei traffici costituiscono l’anello ultimo di una lunga catena. Quello di chi si dedica al lavoro sporco.
Fenomeno migratorio: “siamo noi stessi coinvolti”
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E’ evidente che il fenomeno è determinato da gravi concause, di cui conosciamo le origini e i responsabili, ma alle quali non possiamo porre riparo, perché siamo noi stessi coinvolti. A tal riguardo, bisogna richiamare il ruolo dell’ONU, della NATO, dell’Unione Europea, di cui fanno parte Paesi che hanno generato e generano a man salva i disastri che inducono le migrazioni.
Peraltro, dovremmo chiedere conto del loro comportamento, senza mezzi termini, ai Paesi sovrani da cui transitano e/o si generano i flussi con imbarcazioni di ogni genere, sino al caicco con i chiodi arrugginiti. Ieri, le galere genovesi, pontificie, veneziane dovevano affrontare efficientissimi sciabecchi o magari feluche, fuste, galeotte, saette o brigantini dei corsari barbareschi. Che dovevano essere tenuti a bada da una quantità di torri costiere munite di cannoni e guarnigioni…
Oggi le nostre migliori navi militari e civili devono essere poste al servizio di soccorso in mare e a terra. Dobbiamo disporre di centri e ancora di impianti sportivi atti al ricovero di “sans papier”, sventurati, inclassificabili e pertanto condannati ad un futuro inferno. Quello del soggiorno fortunoso e clandestino, successivo a quello passato da errabondi per orridi diverticoli intercontinentali. E nel purgatorio della prima accoglienza. E il paradiso per i migranti? In terra mai, forse in cielo, ma solo per i credenti.
Inferno, il ritorno di Dragut
Dragut, figlio di Kharabulak, nacque in una povera famiglia contadina. Fu notato da alcuni soldati d’artiglieria inviati dal sultano al Cairo e fu arruolato nell’esercito ottomano, entrando al servizio dell’abile e temuto Khayr al-Din Barbarossa. Compì numerose scorrerie e saccheggi, specie sulle coste napoletane e siciliane.
Prese parte alla battaglia navale di Prevesa (1538), contro Andrea Doria e al fianco di Barbarossa. Divenne talmente potente che Carlo V in persona impartì l’ordine di catturarlo a tutti i costi ai genovesi Doria. Nel 1540 nella baia della Girolata in Corsica, di ritorno da una scorreria a Capraia, fu accerchiato e sconfitto con tutta la flotta da Giannettino Doria. Catturato, fu consegnato ad Andrea Doria, che lo fece incatenare come galeotto ai remi della sua nave ammiraglia per quattro anni.
Quindi, ritenuto ormai innocuo, fu venduto come schiavo e liberato pochi anni dopo (probabilmente dietro il pagamento di un ingente riscatto elargito da Khayr al-Din Barbarossa in persona, nel quale era inclusa la concessione data dal bey di Tunisi dell’isola di Tabarca alla famiglia genovese dei Lomellini, legata ad Andrea Doria). Tornò così libero in Turchia.
Dragut spada vendicatrice dell’Islam
La sua grande occasione venne nel 1544, quando Khayr al-Din Barbarossa si ritirò, lasciando a lui il comando della flotta ottomana. Dagli ottomani fu allora chiamato Spada vendicatrice dell’Islam, per la spietatezza delle sue azioni. Con una serie di alleanze, fra cui anche una discussa con i francesi, nemici degli spagnoli, riuscì a diventare viceré di Algeri, Signore di Tripoli e di al-Mahdiyya per conto di Solimano il Magnifico. Il 25 luglio 1546 il corsaro Dragut sbarca a Laigueglia e cattura tutti gli abitanti caricandoli sulle sue navi.
Il Capitano Berno li liberò e poi riuscì ad impadronirsi della nave corsara sulla quale viaggiavano i laiguegliesi rapiti. Continuò a imperversare nelle coste del Mediterraneo. Il 4 luglio 1549 assediò Rapallo in Liguria, depredando la città e le chiese di oggetti sacri religiosi. Dopo tre giorni il corsaro ripartì dal borgo ruentino, portando via come schiave più di cento fanciulle rapallesi. Un inferno per loro e le loro famiglie.
La vendetta a Palmi
Nello stesso anno Dragut, sbarcato a Palmi e attardatosi presso una fonte ombrosa, fu sorpreso e ributtato in mare dagli abitanti. Nel 1552 ritornò a Palmi e si vendicò sanguinosamente dello smacco subito 3 anni prima. Assalì l’isola d’Elba nel 1553 e nel 1555. Attaccò e quasi distrusse la città portuale di Terranova (attuale Olbia) in Sardegna nel 1553.
Nel luglio 1551, Dragut e Sinan Pascia assalirono le isole maltesi, e dopo un assedio al castello di Gozo di tre giorni portò via circa 5000 degli abitanti come schiavi. Poi assalirono la fortezza di Tripoli, Libia e la presero dai cavalieri di Malta. Si dice che i discendenti degli schiavi maltesi si trovano ancora nel villaggio di Tarhuna, sud-est di Tripoli. Nel luglio del 1552 assalì la cittadella di Camerota, fondata nel VI secolo a.C. all’epoca dei Focesi e fortificata nel 535-553 con un castello e mura di cinta. Qui saccheggiò ed uccise circa 400 vittime.
Inferno, dopo due sconfitte nuovi massacri
Nel luglio 1553, Dragut si accostò a Cosmopoli (Portoferraio) ma l’esercito nemico lo respinse con molte perdite. Ad analogo insuccesso andò incontro nell’assedio di Piombino. Nel luglio del 1554 assediò per una settimana circa la città di Vieste, all’estrema punta del Gargano, incendiandola e devastandola. Decapitò circa 5000 persone sulla roccia ai piedi della Cattedrale detta “Chianca Amara” ancora oggi ben visibile e opportunamente conservata. Deportò giovani e donne da destinare al mercato degli schiavi.
Il 2 luglio 1555 assediò la cittadina di Paola (Italia), la saccheggiò ed incendiò, fece strage tra la popolazione arrivando a depredare anche il Convento dei frati Minimi, fondato da San Francesco di Paola. Nello stesso periodo, le masnade di Dragut, saccheggiarono la città di Scalea. Depredò poi anche la chiesa di San Nicola in Plateis e profanato il monumento sepolcrale dell’ammiraglio angioino Ademaro Romano.
Nel 1563 effettuò una memorabile impresa; partendo da Napoli doppiò Santa Maria di Leuca risalendo l’Adriatico fino ad Ancona, facendo prigionieri migliaia di malcapitati. Nel 1564 lanciò ripetuti assalti e saccheggi al borgo di Civezza, nell’attuale provincia di Imperia. L’eroica resistenza della popolazione del piccolo paesino passò alla storia.
Nel 1565 la morte di Dragut, l’inferno continua
Nel maggio del 1565, Dragut si rivolse contro Malta. Assediò il forte di Sant’Elmo, cannoneggiandolo ripetutamente. Il forte tuttavia resistette e contrattaccò. Durante uno di questi scontri il 18 maggio Dragut morì, ferito alla fronte da una scheggia di pietra. Gli succedette quindi Uluch Alì (‘Ulūj ‘Alī, chiamato dai cristiani Occhialì o Luccialì) che vendicò Dragut conquistando il forte e uccidendo tutti i superstiti. Il corpo di Dragut fu traslato a Tripoli, ove fu sepolto, nella moschea chiamata “Sarāy Dragut”. La sua tomba si trova ancora là, accanto alla scuola coranica (madrasa) e ai bagni pubblici (hammam) che portano ancora il suo nome.