Trattamenti come chemioterapia, radioterapia o alcuni interventi chirurgici, possono compromettere in modo permanente la fertilità futura di una giovane paziente oncologica.
Affrontare il cancro in età pediatrica è una delle prove più dure che una bambina o una ragazza possa vivere. Le cure oncologiche, sempre più efficaci grazie ai progressi della medicina, permettono oggi a molte giovani pazienti di guarire e tornare a una vita normale, ma possono avere conseguenze sulla capacità riproduttiva.
Per le pazienti oncologiche in età prepuberale o adolescenziale, il rischio di infertilità è un argomento poco al centro del dibattito. Ma si tratta di un aspetto cruciale, che incide profondamente sulla qualità della vita a lungo termine.
La perdita della possibilità di diventare madri può rappresentare un trauma aggiuntivo, una ferita psicologica che si apre solo anni dopo la guarigione, quando il desiderio di maternità comincia a farsi sentire. Negli ultimi anni, la medicina della fertilità ha sviluppato tecniche innovative di preservazione ovarica, come il congelamento di tessuto ovarico o ovociti, anche in pazienti molto giovani
Fertilità e oncologia: nuovo metodo per il recupero post-terapia
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Un’importante innovazione arriva da Trieste in ambito di preservazione della fertilità nelle giovani pazienti oncologiche. Un team di scienziati dell’Università di Trieste e dell’IRCCS Burlo Garofolo ha sviluppato un approccio sperimentale all’avanguardia. Tecnica che integra bioingegneria e terapia cellulare. Il tutto volto a migliorare l’efficacia dell’autotrapianto di tessuto ovarico crioconservato. Si tratta, dunque, di una delle poche opzioni disponibili per la tutela della fertilità in età prepuberale.
La tecnica
Consiste nel prelievo e congelamento di una porzione dell’ovaio prima dell’inizio dei trattamenti oncologici. Questo permette di reimpiantarlo nella stessa paziente una volta completate le terapie. La vera novità, però, riguarda l’aggiunta di cellule autologhe vascolari. Ossia provenienti dallo stesso tessuto ovarico, in grado di accelerare la rivascolarizzazione e migliorare l’ossigenazione dell’innesto.
Questo fattore è cruciale: nella fase immediatamente successiva al trapianto, la mancanza di un adeguato apporto sanguigno può causare una perdita significativa di ovuli. Ciò riduce quindi drasticamente la funzionalità dell’ovaio trapiantato.
Una ricerca d’eccellenza tutta italiana
Il progetto ha coinvolto diverse eccellenze scientifiche del territorio friulano. Tra questi l’ICGEB, Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia, guidato dalla professoressa Serena Zacchigna, e il centro di ricerca Elettra Sincrotrone Trieste, dove sono state condotte analisi avanzate con microtomografia a raggi X.
A coordinare il gruppo la dottoressa Chiara Agostinis (IRCCS Burlo Garofolo), la professoressa Roberta Bulla (Università di Trieste) ed il professor Giuseppe Ricci, direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica del Burlo Garofolo.
Progresso scientifico al servizio della qualità della vita
Negli ultimi anni, la sopravvivenza delle pazienti oncologiche in età pediatrica è fortemente aumentata. Ciò è stato possibile grazie ai progressi delle terapie. Tuttavia, gli effetti collaterali delle cure, in particolare la compromissione della funzione ovarica, continuano a rappresentare una sfida. È per questo che sviluppare tecniche affidabili di preservazione della fertilità è un obiettivo prioritario della medicina traslazionale.
Il finanziamento della ricerca è partito dal Ministero della Salute, Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), Next Generation EU, e il programma REACT EU, PON Ricerca e Innovazione.
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Bioactive Materials.
Fonte: Pharmastar