Longennials

L’Italia è il Paese dei “Longennials”: nel nostro Paese più di 14 milioni di persone appartengono alla fascia di età over 65. Circa la metà ha più di 75 anni. Quattro milioni hanno dagli 80 anni in su. Gli ultracentenari sono ben 22mila. Complessivamente siamo vicini al 25% della popolazione e la quota, salvo inversioni di tendenza, è destinata a crescere.

Le statistiche confermano il costante incremento della vita media. Per un bambino che nasca oggi la speranza di vita è di 80,5 anni per gli uomini e di 84,8 anni per le donne. Quanto, invece, all’aspettativa di vita per chi oggi ha già 65 anni, secondo i dati di Euronews quest’ultima è di almeno altri 20,6 anni. Secondo le stime, nel 2050 la quota di ultra65enni ammonterà al 35,9% della popolazione totale, il 10% in più di oggi.

Longennials, come cambia la società

«Fino a ieri parlavamo di “invecchiamento della popolazione” dando a questo una connotazione negativa. È ora di aprire gli occhi e cambiare registro, approccio culturale e quindi anche il modello di società», ha spiegato Michele Conversano, presidente del Comitato Tecnico Scientifico di HappyAgeing – Alleanza Italiana per l’Invecchiamento Attivo, l’associazione promotrice degli “Stati Generali dell’Invecchiamento Attivo” che si è tenuta presso l’Acquario Romano a Roma.

Francesco Macchia, direttore di HappyAgeing – Alleanza Italiana per l’Invecchiamento Attivo, ha aggiunto: «Siamo uno dei Paesi più longevi al mondo e sempre più sono le persone di 65/70 anni e oltre che non solo sono in salute, ma desiderano mantenersi attive e impiegare le risorse economiche che hanno guadagnato negli anni. Questa nuova generazione, chiamata con il termine anglosassone ‘Longennials’, è composta da persone che ancora vogliono e possono avere un ruolo e un peso nella società, non certo essere di peso».

Necessaria una “rivoluzione culturale”

A pesare sui Longennials è la tendenza della società a vederli “vecchi” e come “persone a riposo” dal lavoro, dalla vita sociale, dagli hobby, dallo sport, oltre che potenzialmente molto fragili. Ma questa è una fotografia in cui non si riconoscono. «Manca per loro un contesto ideale e normativo all’interno del quale operare e impegnarsi», sottolinea Francesco Macchia, «manca un cambio culturale che li porti a essere ancora considerati parte attiva e centrale della società».

Perché serve una legge per i Longennials

Di questo cambiamento si occupa la “Legge delega in materia di politiche a favore delle persone anziane”. Maria Teresa Bellucci, viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha spiegato: «Stiamo lavorando ai decreti attuativi da adottare entro il 31 gennaio 2024. Una riforma strutturale che riconosce l’importanza di questioni come favorire l’invecchiamento attivo, contrastare la marginalizzazione delle persone anziane, superare la grave carenza di assistenza territoriale, sanitaria e sociale che si ripercuote su strutture ospedaliere e famiglie».

Un cambio di passo verso una visione inclusiva che non si limiti a vedere l’anziano solo come soggetto che ha bisogno di politiche di prevenzione e di assistenza, ma immerso nella società, dove può sentirsi parte attiva, coerentemente con l’immagine che i ‘Longennials’ hanno oggi di sé stessi. HappyAgeing ha collaborato con l’Intergruppo parlamentare dell’Invecchiamento attivo ed è pronta a fare altrettanto con il Governo in questa direzione.

L’importanza della “Silver Economy”

Le scelte politiche che riguardano i Longennials non possono non tenere conto del loro peso e delle loro capacità economiche. In sostanza, della “Silver Economy”, che va dalle risorse economiche accantonate e possedute dagli anziani alle possibilità di investimento, per i risparmiatori e le aziende, nei settori che riguardano l’assistenza e i servizi per la terza e la quarta età. Si stima che la silver economy abbia un valore di oltre 300 miliardi di euro, pari a quasi il 20% del Pil.

Altro pilastro dell’Invecchiamento Attivo è lo sport. «Per gli over 65 deve essere un diritto realmente esigibile, perché è a tutti gli effetti una misura di prevenzione. Purtroppo mancano bonus per la pratica sportiva o detassazioni che ne riducano il peso economico», ha sottolineato Maurizio Massucci, della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa.