Presso la Cardiologia dell’ospedale Mauriziano di Torino i medici hanno eseguito un intervento cardiaco innovativo. Qui l’équipe elettrofisiologica ha realizzato con successo il primo impianto di defibrillatore extravascolare intratoracico.
La morte cardiaca improvvisa è la principale causa di decesso sotto i 60 anni ed è responsabile del 50% delle morti imputabili a malattie cardiovascolari. Ogni anno in Europa si registrano circa 400mila arresti cardiaci, di cui 60mila soltanto in Italia.
Come emerge dalla cronaca di questi ultimi giorni, anche soggetti giovani e professionisti dello sport possono essere colpiti da aritmie improvvise e potenzialmente letali.
I medici hanno impiantato il moderno dispositivo su un giovane poco più che ventenne affetto da una malattia genetica rara. Si tratta di una forma di distrofia neuromuscolare che ha risparmiato le funzioni muscolari motorie. Ma che ha colpito l’attivazione elettrica del cuore rendendo il paziente vulnerabile rispetto alla morte improvvisa.
I limiti dei tradizionale defibrillatori impiantabili
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I defibrillatori impiantabili sono dispositivi in grado di interrompere queste gravi aritmie. Tradizionalmente vengono collocati parzialmente all’interno delle camere cardiache attraverso il sistema venoso e con il tempo possono essere oggetto di disfunzione o di infezione. Ciò rende necessari interventi di estrazione non scevri da rischi per i pazienti.
Per ridurre tali problemi, negli ultimi anni i sanitari hanno introdotto un sistema extracardiaco in cui i cateteri decorrono in sede sottocutanea. Si evita, così, che eventuali fenomeni infettivi giungano nel sistema circolatorio e al cuore con gravi conseguenze. Questo dispositivo ha, però, il limite di avere tra il sistema di defibrillazione e il cuore tutto lo spessore della cassa toracica. Con conseguente impossibilità di stimolazione duratura e necessità di alte energie di intervento.
Il nuovo dispositivo extravascolare intratoracico
Il nuovo dispositivo extravascolare intratoracico (grande quanto una saponetta) è impiantato sotto l’ascella. La sua parte attiva, l’elettrodo, è posizionata direttamente sotto lo sterno, vicino al cuore, evitando i problemi del sistema transvenoso, ma mantenendone i vantaggi. Cioè, una elevata longevità di oltre 11 anni, piccole dimensioni e possibilità di stimolare il cuore. E interrompere le aritmie potenzialmente letali, anche senza erogare shock ad alta energia.
Il sistema ha, inoltre, un minimo impatto estetico e determina un impaccio trascurabile nei movimenti. «Per tutte queste ragioni abbiamo scelto di impiantarlo (uno dei primi interventi in Italia ed il primo in Piemonte) in un paziente così giovane». Così Stefano Grossi, che guida l’équipe elettrofisiologica.
«La procedura di impianto del defibrillatore extravascolare si è svolta senza alcuna complicanza e il ragazzo è già stato dimesso. In pochi giorni potrà tornare ad avere una vita normale, riprendendo le sue usuali attività, compreso lo svolgimento di una moderata attività fisica».
Intervento realizzato con un approccio endo-epicardico
Questo intervento innovativo fa parte di un programma assolutamente all’avanguardia.
«L’intervento vede il servizio di elettrofisiolgia della nostra Divisione essere il primo in Italia tra gli ospedali pubblici. E il terzo in assoluto per volume e qualità delle procedure ablative delle principali aritmie». Lo dichiara il Direttore della Cardiologia dell’ospedale Mauriziano Giuseppe Musumeci. «Recentemente, l’apertura della seconda sala di elettrofisiologia ha permesso di ridurre le liste d’attesa e trattare ancora più pazienti. Garantendo più innovazione, come testimoniato da questo caso e dalla recente introduzione di una nuova tecnica di ablazione mediante due diverse forme di energia. Ciò per ottenere la neutralizzazione delle aree aritmogene. Infatti, con un solo catetere è stato possibile erogare sia radiofrequenza che elettroporazione. All’ospedale Mauriziano, oltre alla combinazione delle due energie nella stessa seduta, tale metodica è stata utilizzata per la prima volta al mondo con un approccio endo-epicardico. Cioè, sia dall’interno che dall’esterno del cuore».