Un recente studio ha scoperto un fattore nascosto alla base della capacità del tumore al pancreas di adattarsi e resistere alle terapie. Si tratta del DNA extracromosomico (ecDNA). Il cancro al pancreas è uno dei tumori più letali al mondo, con un tasso di sopravvivenza a cinque anni del 13%. Questa prognosi sfavorevole è dovuta sia alla diagnosi tardiva sia alla capacità del tumore di ostacolare le cure.
ecDNA, elementi genetici nel nucleo della cellula
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I ricercatori dell’Università di Verona, dell’Università di Glasgow e del Botton-Champalimaud Pancreatic Cancer Centre hanno fatto un’importante scoperta. Alcune cellule del cancro pancreatico acquisiscono un importante vantaggio di sopravvivenza. Ciò accade perché contengono copie di geni critici per il cancro, come MYC, su frammenti circolari di DNA che esistono al di fuori dei cromosomi. Conosciuti come ecDNA, questi elementi genetici fluttuano nel nucleo della cellula. Permettono, così, alle cellule tumorali di aumentare rapidamente l’espressione genica, modificare la loro forma e sopravvivere in ambienti altrimenti ostili.
«Il cancro al pancreas è spesso chiamato ‘killer silenzioso’ perché è difficile da rilevare fino a quando è troppo tardi». Lo afferma Peter Bailey, coautore e direttore della Ricerca al Botton-Champalimaud Pancreatic Cancer Centre. «Sappiamo che parte della sua letalità deriva dalla capacità delle cellule tumorali di ‘cambiare forma’ sotto stress. Il nostro studio dimostra che l’ecDNA gioca un ruolo chiave in questo processo».
I ricercatori: “l’ecDNA è comune nel cancro al pancreas”
I ricercatori hanno scoperto che l’ecDNA è comune nei tumori pancreatici. In particolare per oncogeni come MYC, che stimolano la crescita e il metabolismo del cancro.
«C‘è una grande variabilità nel numero di copie di MYC quando questo gene si trovava sull’ecDNA». Così Elena Fiorini, co-prima autrice e ricercatrice all’università di Verona. «Alcune cellule trasportavano decine o centinaia di copie extra di MYC. Conferendo loro un vantaggio di crescita significativo in determinate condizioni».
All’interno dello stesso tumore si formano gruppi di cellule con livelli molto alti di MYC. Questi risultano vantaggiosi in determinate condizioni, mentre altre cellule con meno copie potrebbero adattarsi meglio a un ambiente diverso. Una flessibilità che evidenzia l’eterogeneità intratumorale del cancro pancreatico, in cui molteplici sottopopolazioni coesistono e rispondono in modo differente ai trattamenti. E spiega perché colpire una sola popolazione di cellule tumorali spesso non è sufficiente per sconfiggere il cancro, contribuendo invece alla resistenza alla terapia.
MYC a livelli elevati possono causare danni al DNA
Lo studio ha inoltre rivelato un chiaro legame tra livelli elevati di MYC e cambiamenti nella forma e nel comportamento delle cellule tumorali. Quando i livelli di ecDNA contenente MYC aumentavano, le cellule si trasformavano in strutture più aggressive e solide. E perdevano la loro architettura più organizzata e simile a una ghiandola.
«Ciò che è straordinario – afferma Vincenzo Corbo, docente dell’ateneo scaligero – è la rapidità con cui queste copie di ecDNA possono comparire. O scomparire a seconda dell’ambiente. Se il tumore è sotto pressione, ad esempio, in assenza di fattori di crescita fondamentali, le cellule con ecDNA possono aumentare l’espressione di MYC per sopravvivere. Ma se questa pressione viene meno, le cellule possono perdere alcuni di questi cerchi di DNA per evitare gli svantaggi di trasportare troppe copie».
Esprimere MYC a livelli molto elevati può causare danni al DNA.
ecDNA come bersaglio terapeutico?
Sebbene il DNA extracromosomico sia presente solo in circa il 15% dei campioni analizzati, questo sottogruppo potrebbe essere particolarmente aggressivo o resistente alla terapia. Di conseguenza, individuare o interrompere l’ecDNA potrebbe aprire nuove opportunità terapeutiche.
«Potremmo immaginare una strategia che sfrutti le vulnerabilità introdotte dall’ecDNA», osserva Corbo. «Forse spingendo le cellule tumorali a esprimere MYC a livelli tali da non poter gestire il danno al DNA. Oppure bloccando i circuiti molecolari che mantengono questi cerchi di DNA, costringendo le cellule a perderli del tutto».
Tuttavia, gli autori avvertono che queste strategie sono ancora in fase iniziale.
«L’ecDNA è un’arma a doppio taglio, utile per un adattamento rapido, ma costoso da mantenere», afferma Corbo. «La sfida è inclinare questo equilibrio a favore del paziente».