In tutto il mondo sono 8,4 milioni le persone con diabete di tipo 1, mezzo milione sono i nuovi casi diagnosticati in età infantile. Uno scenario allarmante che riguarda anche l’Italia. Si stima, infatti, che siano oltre 20mila i bambini italiani con diabete di tipo 1, con una prevalenza di chetoacidosi tra le più alte.
La diagnosi precoce del diabete di tipo 1 riduce del 94% il rischio di gravi complicanze.
Con lo screening si prevede che ogni anno oltre 450 bambini eviteranno la chetoacidosi, la più pericolosa conseguenza, a volte fatale, della malattia. A dare la notizia sono gli esperti della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP). Essi hanno messo a confronto i risultati ottenuti da due studi pubblicati sulla rivista Diabetologia, condotti sulla popolazione pediatrica, con e senza screening del diabete.
Gli studi hanno valutato la frequenza di chetoacidosi
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Il primo studio, guidato da Valentino Cherubini, presidente SIEDP, ha valutato la frequenza di chetoacidosi nei bambini in cui la malattia viene scoperta fino alla comparsa della complicanza. Il secondo, condotto da ricercatori tedeschi nell’ambito del progetto Fr1da per la diagnosi precoce, ha analizzato la frequenza di chetoacidosi in bambini sottoposti a screening.
«Questa grave complicanza si sviluppa quando l’organismo non riesce a produrre abbastanza insulina. E inizia a scomporre i grassi per alimentare i processi metabolici con un accumulo di acidi nel sangue, chiamati appunto chetoni. Provocando, nei bambini colpiti, alterazioni neurologiche che, nelle forme più gravi, possono arrivare a metterne in pericolo la vita». A spiegarlo è Cherubini, referente per il Ministero della Salute e per l’Istituto Superiore di Sanità per lo screening pediatrico del diabete di tipo 1.
In Italia un programma nazionale di screening pediatrico
Lo studio è stato condotto su 59mila bambini in 13 Paesi su 3 continenti, tra il 2006 e il 2016. È emerso che, in Italia, la scoperta della malattia avviene spesso con la comparsa dei sintomi. E la frequenza di chetoacidosi arriva al 41,2% nei bimbi più piccoli, con un secondo picco intorno ai 10-12 anni.
«Confrontando i nostri risultati con quelli ottenuti dal progetto tedesco di screening Fr1da, nei bimbi risultati positivi al test è emersa un’incidenza più bassa di chetoacidosi. Questa – continua Cherubini – è pari al 2,5%, con una riduzione del 94% del rischio rispetto al nostro studio. I dati confermano l’importanza della legge 130/2023 che ha istituito in Italia – primo Paese al mondo – un programma nazionale di screening pediatrico. L’obiettivo principale era proprio quello di prevenire la chetoacidosi».
Un progetto pilota da estendere su scala nazionale
Dall’approvazione della legge, un progetto pilota in 4 regioni ne ha confermato la fattibilità ed entro il prossimo anno sarà possibile estenderlo su scala nazionale.
Il progetto, partito a marzo 2024, ha finora coinvolto 3.600 bimbi e quelli risultati positivi, sulla base dei dati più aggiornati, sono stati lo 0,23%. Lo screening sarà effettuato in bimbi tra i 2 e i 3 anni e ripetuto tra i 5 e i 7 anni di età. Se tutti effettueranno i test, si prevede che 1113 bimbi saranno positivi a due o più anticorpi, con rischio certo di sviluppare la malattia. Con la riduzione al 2,5% della comparsa di chetoacidosi, grazie all’introduzione dei test pediatrici in Italia, oltre 450 bimbi ogni anno potranno evitare la complicanza.
Teplizumab disponibile in Italia per uso compassionevole
Teplizumab, approvato negli Stati Uniti dalla FDA nel novembre 2022, è il primo farmaco al mondo capace di ritardare l’esordio clinico del diabete di tipo 1.
È ora disponibile in Italia per uso compassionevole a partire dai bimbi di età pari o superiore a 8 anni con diabete di tipo 1 di stadio 2. Che siano positivi a due o più autoanticorpi caratteristici della malattia e con condizione di disglicemia. L’utilizzo per uso compassionevole sarà consentito anche nei centri di diabetologia pediatrica che ne faranno richiesta.
Si tratta di un anticorpo monoclonale che si somministra per via endovenosa. Permette di ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 1 in chi manifesta i primi segni di questa patologia. Consente ai pazienti di vivere mesi o anni senza il peso della malattia.
Il farmaco prevede la somministrazione una volta al giorno per due settimane ed è capace di rallentare la progressione della malattia.