Uno studio internazionale ha svelato che molte persone in coma o in stati simili, apparentemente incapaci di rispondere fisicamente, sono in realtà consapevoli di ciò che accade intorno a loro. Questi risultati evidenziano un aspetto sorprendente e poco compreso della coscienza nei pazienti con gravi lesioni cerebrali

Nuove scoperte sul coma

Molte persone in coma o in stati simili sono consapevoli di ciò che accade intorno a loro

Dopo anni di dibattiti e ricerche sulla coscienza nelle persona in stato di coma, un importante studio internazionale ha ribaltato alcune convinzioni consolidate. Questi pazienti non sono in grado di rispondere fisicamente a semplici comandi, come alzare un pollice.

I ricercatori hanno tuttavia osservato ripetuti segni di attività cerebrale quando veniva chiesto loro di immaginare movimenti o attività fisiche. Questo indica che potrebbero essere consapevoli di ciò che accade intorno a loro.

Nicholas Schiff, neurologo della Weill Cornell Medicine di New York e leader dello studio, evidenzia che queste persone potrebbero persino essere in grado di comunicare attraverso interfacce cervello-computer (BCI). Questi dispositivi, impiantati nel cervello, registrano l’attività cerebrale e la traducono in comandi, come muovere un cursore su un computer. Ragion per cui, insiste sull’importanza di destinare risorse per identificare e sostenere queste persone, sottolineando il potenziale enorme che la tecnologia BCI potrebbe offrire per migliorare la loro qualità di vita.

Daniel Kondziella, neurologo del Rigshospitalet dell’Università di Copenaghen, evidenzia che questo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine rappresenta una pietra miliare nel campo della ricerca sul coma e altri disturbi della coscienza.

Approfondiamo la questione.

Scansione del cervello

Lo studio ha coinvolto 353 pazienti con gravi lesioni cerebrali dovute a traumi fisici, infarti o ictus. Tra questi, 241 non erano in grado di rispondere ai test standard di reattività, come alzare un pollice su richiesta, mentre 112 pazienti potevano farlo.

Ogni paziente ha subito una o entrambe le tipologie di scansione cerebrale: la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalografia (EEG) .

Nello specifico, l’fMRI, rileva indirettamente l’attività mentale attraverso l’ossigenazione del sangue nel cervello.

L’EEG invece misura direttamente l’attività delle onde cerebrali con un cappuccio di elettrodi applicato al cuoio capelluto.

Durante le scansioni, ai pazienti è stato chiesto di immaginare di giocare a tennis o di aprire e chiudere la mano, con i comandi ripetuti per 15-30 secondi e poi interrotti.

L’esercizio è stato poi ripetuto per sei-otto sessioni.

I risultati

Tra i pazienti incapaci di rispondere fisicamente, circa il 25% ha mostrato attività cerebrale rilevabile durante gli esami EEG o fMRI.

La condizione è nota come dissociazione cognitiva motoria.

Questo dato indica che anche senza una risposta fisica, una parte significativa di questi pazienti presenta segni di attività cerebrale. Suggerisce cioè una forma di coscienza.

Per i pazienti che riuscivano a rispondere fisicamente, il 38% ha mostrato un’attività cerebrale continua durante i test. Questa percentuale non è molto più alta rispetto a quella dei pazienti non rispondenti fisicamente, probabilmente perché i test erano particolarmente impegnativi.

In generale, i pazienti che hanno mostrato segni di attività cerebrale tendevano a essere più giovani, ad avere subito lesioni da traumi fisici e a convivere con la loro condizione da più tempo.

Kondziella, uno dei neurologi coinvolti, rimarca che è essenziale monitorare questi pazienti nel tempo. In questo modo si può capire meglio come evolve la coscienza attraverso le diverse lesioni cerebrali.

«Sappiamo ancora poco su come la coscienza si sviluppa e cambia nel tempo in seguito a diverse lesioni cerebrali», ha dichiarato.

Utile precisare che precedenti studi avevano già identificato la dissociazione cognitiva motoria in pazienti con lesioni cerebrali.

Questo tuttavia è il più grande e il primo condotto in più centri in diversi Paesi. I test sono stati eseguiti in sei strutture mediche tra Belgio, Francia, Regno Unito e Stati Uniti.

Limitazioni dello studio sul coma

Purtroppo, lo studio presenta delle limitazioni. Non tutti i centri medici hanno utilizzato lo stesso numero o tipo di compiti durante le scansioni EEG o fMRI, né lo stesso numero di elettrodi. Il che potrebbe aver influenzato i risultati. Schiff ritiene che i risultati potrebbero sottostimare il numero di persone coscienti nonostante l’apparente mancanza di reattività fisica, mentre Kondziella ha aggiunto che, se tutti i partecipanti avessero ricevuto sia EEG sia fMRI, i tassi di dissociazione cognitiva motoria sarebbero stati probabilmente più alti.

Identificare i pazienti coscienti ma non reattivi è fondamentale, secondo Schiff, poiché “ci saranno persone che possiamo aiutare a uscire da questa condizione”, sia con interfacce cervello-computer (BCI), sia con altri trattamenti o semplicemente continuando a fornire cure mediche adeguate. Riconoscere la coscienza in questi pazienti può influenzare significativamente le decisioni delle famiglie e dei medici riguardo al supporto vitale e ai trattamenti. «Ogni volta che scopriamo che qualcuno è reattivo, fa davvero la differenza», conclude Schiff .