Per milioni di persone, convivere con una disabilità significa affrontare non solo le difficoltà legate alla propria condizione, ma anche un sistema sociale e istituzionale che spesso limita i diritti fondamentali. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006 e ratificata in Italia nel 2009, segna un passo decisivo verso una visione basata sui diritti umani, superando l’approccio assistenzialista. In occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, che si è celebrata lo scorso dicembre, CBM Italia ha reso disponibile una versione commentata del documento
La disabilità: una questione globale tra dati e barriere
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I numeri offrono una fotografia chiara della portata globale della disabilità: nel mondo, 1,3 miliardi di persone, ovvero una su sei, convivono con una qualche forma di limitazione funzionale. Di queste, l’80% vive in Paesi in via di sviluppo, dove la povertà cronica aggrava ulteriormente le difficoltà quotidiane. In Italia, si stima che i cittadini con limitazioni siano circa 13 milioni, pari al 22% della popolazione. Questo quadro mette in luce un ciclo drammatico: la condizione di vulnerabilità alimenta la povertà, e quest’ultima aumenta il rischio di sviluppare ulteriori difficoltà. Rompere questa spirale richiede interventi strutturali, investimenti in accessibilità, istruzione e occupazione, oltre a una forte cooperazione internazionale.
Proprio per rispondere a queste sfide, la Convenzione introduce un approccio innovativo che sposta il focus dalla persona al contesto sociale. Secondo questa visione, le disabilità non derivano esclusivamente da condizioni fisiche, cognitive o sensoriali, ma emergono dall’interazione con un ambiente che non rimuove ostacoli o garantisce pari opportunità. Le barriere, infatti, possono essere di natura materiale, come edifici inaccessibili, oppure culturale, come stereotipi e pregiudizi ancora radicati.
Ad esempio, pensare che una donna con disabilità non possa essere madre o che una persona cieca non possa lavorare non è solo un errore di valutazione, ma una forma di discriminazione che riflette una mentalità ancora arretrata. La Convenzione, abbandonando l’idea che queste limitazioni siano qualcosa da “curare”, pone al centro l’importanza di garantire diritti e opportunità uguali per tutti, promuovendo un cambiamento strutturale e culturale.
La Convenzione: uno strumento di cambiamento globale
Adottata nel 2006, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (contiene 50 articoli), è il primo trattato internazionale legalmente vincolante che tutela i diritti delle persone con disabilità su scala globale.
Il primo articolo afferma che le persone con disabilità non devono essere percepite come “oggetti di assistenza”, ma come titolari di diritti. Questo cambiamento si fonda su una definizione innovativa che considera la disabilità come il risultato dell’interazione tra una persona e le barriere presenti nell’ambiente. In altre parole, “non è la condizione medica in sé a determinare la disabilità, ma l’insieme di ostacoli che impediscono la piena partecipazione alla società”.
Questo approccio ribalta il paradigma tradizionale, spostando il focus dall’individuo all’ambiente circostante. Si evidenzia così la centralità dell’accessibilità e dell’inclusione, che non sono più considerate vantaggi aggiuntivi, ma requisiti fondamentali per garantire autonomia e indipendenza. Ma vediamo anche qualche altro importante passo.
Articolo 5: non discriminazione e pari opportunità
L’articolo 5 istituisce il principio di non discriminazione, affermando che le persone con disabilità devono essere trattate con uguaglianza rispetto agli altri cittadini, senza alcuna distinzione legata alla loro condizione. Gli Stati sono chiamati a eliminare le disuguaglianze di trattamento, adottando misure concrete per garantire l’accesso agli stessi diritti e opportunità. Ciò comporta interventi che rimuovano barriere fisiche, sociali e culturali, e che promuovano politiche inclusive in ogni ambito della vita quotidiana.
Il diritto alla vita indipendente
Il diritto alla vita indipendente, sancito dall’articolo 19, costituisce un pilastro della Convenzione. Esso riconosce a ogni persona la possibilità di scegliere dove e con chi vivere, partecipare attivamente alla comunità e prendere decisioni sul proprio percorso di vita. La piena realizzazione di questo diritto implica l’accesso a un sistema di supporto che consenta l’autodeterminazione, evitando situazioni di tutela forzata o istituzionalizzazione. L’obiettivo è restituire alle persone il controllo della propria esistenza, valorizzandone le capacità e le aspirazioni.
Articolo 24: educazione inclusiva e diritti dei bambini
L’articolo 24 affronta il tema dell’educazione, sfidando il modello tradizionale di istruzione separata. Ogni bambino ha diritto a frequentare scuole regolari, ricevendo il sostegno necessario per sviluppare il proprio potenziale. Questo approccio inclusivo non solo favorisce l’apprendimento, ma promuove anche una società più coesa, dove il rispetto e la comprensione reciproca diventano valori condivisi. In particolare, per i minori con disabilità, la scuola rappresenta un luogo fondamentale per esprimere le proprie capacità e partecipare attivamente alla vita sociale.
Donne e bambini al centro
La Convenzione dedica particolare attenzione alle donne e ai minori, due categorie spesso soggette a forme di discriminazione multiple. L’articolo 6 denuncia la doppia marginalizzazione che colpisce le donne con disabilità, aggravata da fattori come il genere, l’origine etnica o lo status economico. Allo stesso tempo, l’articolo 7 pone l’accento sul benessere dei bambini, sottolineando che ogni decisione deve avere come priorità il loro interesse superiore. Per i più piccoli, ciò significa non solo accedere a cure e istruzione, ma anche poter far sentire la propria voce nelle scelte che li riguardano.
Sensibilizzazione e consapevolezza
L’articolo 8 evidenzia l’importanza della sensibilizzazione sociale, combattendo stereotipi e pregiudizi che alimentano l’isolamento. La mancanza di conoscenza dei diritti è infatti una delle principali cause di esclusione. In risposta a questa lacuna, iniziative come la versione commentata della Convenzione promossa da CBM Italia si pongono l’obiettivo di educare sia le persone con disabilità sia la società nel suo complesso, favorendo una maggiore consapevolezza e un dialogo costruttivo.
L’attuazione: responsabilità e partecipazione
La Convenzione non si limita a enunciare principi, ma impone agli Stati l’obbligo di monitorare e rendicontare i progressi nell’applicazione. Inoltre, riconosce il valore insostituibile della partecipazione attiva delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni, per individuare soluzioni efficaci e rispondere ai bisogni reali. Questo dialogo continuo garantisce che le politiche adottate non siano solo astratte, ma traducano in realtà tangibile i diritti sanciti.