Secondo il Rapporto GIMBE 2025 in Italia cresce la spesa sanitaria in valori assoluti, ma cala il suo peso sul PIL. Aumentano rinunce alle cure, disuguaglianze regionali e fuga dal pubblico. La domanda chiave è semplice: come salvare un diritto costituzionale che rischia di diventare un privilegio?
Che cosa denuncia il nuovo Rapporto GIMBE 2025?
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Il Rapporto presentato alla Camera dal presidente Nino Cartabellotta parla chiaro: la sanità italiana vive uno smantellamento lento, ma costante, che favorisce l’espansione del privato. Crescono le cifre nominali del Fondo sanitario nazionale, ma l’inflazione e i costi energetici erodono il potere reale della spesa. Diminuisce la quota sanitaria sul PIL e aumentano le difficoltà per Regioni, famiglie e professionisti. Il risultato è un circolo vizioso: servizi ridotti, liste d’attesa lunghe, spese private in aumento, personale demotivato.
Rapporto GIMBE 2025: perché si parla di “definanziamento” nonostante più miliardi?
Tra il 2023 e il 2025 il Fondo sanitario nazionale passa da 125,4 a 136,5 miliardi. Sulla carta è un aumento di 11,1 miliardi. Tuttavia, il rapporto FSN/PIL scende: 6,3% nel 2022, 6% nel 2023, 6,1% nel 2024-2025. In termini reali, la sanità perde potere d’acquisto e capacità di risposta. Secondo GIMBE, il taglio percentuale equivale a 13,1 miliardi “lasciati sulla strada” rispetto alla dinamica del PIL. La morale è semplice: i miliardi crescono, ma valgono meno e finanziano meno servizi.
Rapporto GIMBE 2025: che cosa prevedono documenti programmatici e bilancio?
Il DPFP 2025 stima una spesa sanitaria stabile al 6,4% del PIL per 2025, 2027 e 2028, con 6,5% nel 2026. La Legge di Bilancio racconta altro. La quota destinata al FSN scenderebbe dal 6,1% del 2025-2026 al 5,9% nel 2027 e al 5,8% nel 2028. Questo scarto produce un “buco” per i bilanci regionali. Le stime sono pesanti: 7,5 miliardi nel 2025, 9,2 nel 2026, 10,3 nel 2027 e 13,4 nel 2028. Senza rifinanziamento, le Regioni avranno due sole leve. Ridurre i servizi o aumentare la tassazione locale. Entrambe colpiscono i cittadini, soprattutto i più fragili.
La Corte costituzionale cosa ha già chiarito?
La Corte ha segnato un passaggio netto. Si passa dal “diritto finanziariamente condizionato” alla “spesa costituzionalmente necessaria” per i LEA. Tradotto, la tutela della salute è un diritto incomprimibile. Lo Stato deve trovare le risorse, anche riorientando altre voci di spesa. Rimandare il rifinanziamento non è una scelta neutra. È una decisione politica che ricade sul diritto effettivo alle cure.
Rapporto GIMBE 2025: il riparto del fondo è equo tra le Regioni?
Non ancora. I nuovi criteri hanno introdotto correttivi, ma l’effetto è modesto. Conta ancora troppo l’età media, penalizzando i territori più giovani e svantaggiati. Nel 2024 la Liguria guida il pro-capite con 2.261 euro. Campania, Lazio, Sicilia e Lombardia restano sotto la media nazionale di 2.181 euro. Le variabili su mortalità precoce e condizioni socio-economiche pesano appena l’1,5%. La quota “premiale” rischia di diventare un meccanismo opaco. Così si cronicizzano divari storici, a danno dei bisogni emergenti di giovani e periferie.
Quanto pesa oggi la spesa sanitaria sulle famiglie?
Secondo ISTAT 2024, la spesa sanitaria totale è 185,12 miliardi. La spesa pubblica copre il 74,3%, quella privata il 25,7%. Di quest’ultima, l’86,7% è pagata direttamente dalle famiglie. Solo il 13,3% passa da fondi e assicurazioni. Crescono rinunce e rinvii di visite ed esami. Nel 2024 ha rinunciato il 9,9% degli italiani, oltre 5,8 milioni di persone. Le differenze sono enormi: dal 5,3% di Bolzano al 17,7% della Sardegna. Con la povertà assoluta in aumento, il quadro peggiora. Chi ha meno paga di più, in salute e in anni di vita.
LEA e mobilità sanitaria: quanto è profonda la frattura Nord-Sud?
Nel 2023 solo 13 Regioni risultano adempienti sui LEA. Al Sud superano la soglia Puglia, Campania e Sardegna. La mobilità sanitario-ospedaliera vale oltre 5 miliardi nel 2022. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto assorbono quasi tutto il saldo attivo. Il passivo si concentra in cinque Regioni meridionali e nel Lazio. Il risultato si misura anche nell’aspettativa di vita. La media stimata 2024 è 83,4 anni, ma la Campania si ferma a 81,7. Trento sale a 84,7. Tre anni di differenza sono una misura concreta di diseguaglianza.
Rapporto GIMBE 2025: perché il privato cresce così in fretta?
Nessun governo ha dichiarato di privatizzare il SSN. Tuttavia, l’indebolimento del pubblico crea spazio per il privato, anche extra-accreditato. Nel 2023 il 58% delle strutture censite è privato accreditato. Prevale in residenzialità, riabilitazione, semiresidenzialità e specialistica. La spesa pubblica verso l’accreditato raggiunge 28,7 miliardi, ma scende al 20,8% in quota percentuale. Corre invece il “privato puro”. La spesa out of pocket delle famiglie in strutture private non accreditate cresce del 137% tra 2016 e 2023. Si crea un binario separato, accessibile soprattutto a chi può permetterselo.
Personale: davvero mancano i medici?
I dati OCSE dicono altro. L’Italia ha 5,4 medici per 1.000 abitanti, seconda solo all’Austria. Il problema non è la quantità assoluta. È la fuga dal SSN, l’allocazione in specialità poco attrattive e la carenza di medici di famiglia. Il vero collo di bottiglia sono gli infermieri. Siamo a 6,5 per 1.000 abitanti, contro una media OCSE di 9,5. L’attrattività crolla: le domande per Infermieristica non coprono i posti disponibili. Retribuzioni sotto le medie OCSE peggiorano il quadro. Senza un piano per trattenere professionisti nel pubblico, formare più medici non basterà.
Assistenza territoriale: dove siamo con il DM 77?
A metà 2025 le Centrali operative territoriali centrano il target. Le Case della Comunità faticano. Su 1.723 programmate, 218 hanno attivato tutti i servizi, ma solo 46 dispongono di team medico-infermieristici. Gli Ospedali di Comunità attivi sono 153 su 592 programmati. L’Assistenza domiciliare è formalmente garantita quasi ovunque, ma i servizi socio-assistenziali restano disomogenei. La riforma del territorio nasce per ridurre accessi impropri e liste d’attesa. Senza personale dedicato rischia di restare un guscio vuoto.
PNRR, Missione Salute: perché i ritardi preoccupano?
Entro il 30 giugno 2026 dovranno essere operative almeno 1.038 Case della Comunità e 307 Ospedali di Comunità. A giugno 2025 i cantieri antisismici avanzano lentamente, con spesa effettiva sotto l’11% del finanziamento. Il Fascicolo Sanitario Elettronico è incompleto. Solo sei tipologie documentali sono disponibili ovunque. Il consenso alla consultazione è al 42%, con divari enormi tra Regioni. Le strutture si stanno costruendo, ma senza personale e integrazione digitale rischiano la sottoutilizzazione. L’Europa ha già concesso rimodulazioni. La “volata finale” richiede una regia stretta tra Governo, Regioni e ASL.
Che cosa significa tutto questo per i cittadini?
Significa liste più lunghe e più spesa privata, trasferte sanitarie verso Regioni forti, un rischio reale di rinuncia alle cure. Significa che il CAP dove vivi e il reddito che hai decidono accesso e prognosi. Questo contraddice l’architettura del SSN nato nel 1978. Universalità, uguaglianza ed equità non sono slogan. Sono i pilastri che distinguono un diritto da un bene di mercato.
Tabella. SSN 2023-2028: sei numeri per capire
Indicatore | Valore chiave |
---|---|
FSN 2022-2025 | Da 125,4 a 136,5 miliardi |
FSN/PIL | 6,3% (2022) → 6,1% (2024-2025) |
Rinunce alle cure 2024 | 9,9% popolazione, oltre 5,8 milioni |
Mobilità sanitaria 2022 | Oltre 5 miliardi di euro |
Infermieri per 1.000 abitanti | 6,5 Italia; 9,5 media OCSE |
Aspettativa di vita 2024 | 84,7 Trento; 81,7 Campania |
Quali sono le leve per invertire la rotta?
Servono scelte politiche chiare. Primo, rifinanziare stabilmente la sanità pubblica, riportando la quota sul PIL verso valori europei. Secondo, rivedere il riparto con pesi reali a deprivazione, mortalità precoce e bisogni dei giovani. Terzo, sbloccare assunzioni e nuove carriere per infermieri e professionisti del territorio. Quarto, stabilizzare la riforma del DM 77 con équipe h24 e presa in carico proattiva. Quinto, completare davvero il Fascicolo sanitario, con interoperabilità e consenso semplificato. Infine, legare i fondi PNRR a risultati misurabili, non solo a opere consegnate.
Che cos’è il “patto” proposto da GIMBE?
Cartabellotta chiede un triplice patto: un patto politico, che superi cicli elettorali e riconosca il SSN come infrastruttura democratica e motore di sviluppo; patto sociale, che renda i cittadini consapevoli del valore della sanità pubblica e dell’uso appropriato dei servizi; un patto professionale, che chiami tutte le categorie a rinunciare a rendite e frammentazioni per rimettere al centro il paziente. Senza un consenso largo, i miliardi rischiano di non bastare. Con un consenso largo, anche pochi miliardi in più possono diventare servizi concreti.
FAQ
Qual è il problema principale, oggi?
La quota sanitaria sul PIL scende, mentre aumentano bisogni, inflazione e costi. Il risultato è meno potere d’acquisto e più rinunce alle cure.
Perché il riparto penalizza alcuni territori?
Pesa troppo l’età media. Pesano troppo poco deprivazione e mortalità precoce. I territori giovani e poveri ricevono quote pro-capite inferiori.
Il privato è un nemico?
Il privato può integrare. Diventa un problema quando sostituisce il pubblico per necessità, creando accessi a due velocità basati sul reddito.
Mancano i medici o gli infermieri?
I medici complessivamente non mancano. Mancano nel SSN, nelle specialità meno attrattive e nella medicina generale. Mancano soprattutto gli infermieri.
DM 77 e PNRR basteranno?
Solo se accompagnati da assunzioni, governance unica dei dati e reale interoperabilità. Strutture senza équipe restano scatole vuote.
Che cosa può fare subito il Governo?
Rifinanziare dal 2026, correggere il riparto, sbloccare assunzioni, legare il PNRR a output misurabili, accelerare il Fascicolo sanitario e i servizi territoriali.