acondroplasia

Sono almeno 4mila le persone che in Italia soffrono a causa dell’acondroplasia, una malattia rara che colpisce lo sviluppo scheletrico causando il nanismo. Nel mondo interessa una persona ogni 25mila, senza distinzione di sesso. Da circa dieci anni, una serie di associazioni internazionali con capofila l’americana “Little People of America” ha proclamato ottobre come il mese della consapevolezza.

Con “persone piccole” si indicano le persone che comunemente definiamo “nani”. Nella maggior parte dei casi sono affette da acondroplasia.

Acondroplasia, la conoscenza genera inclusività

«Come mese della consapevolezza, ottobre rappresenta un’ottima occasione per parlare, spiegare fare conoscere chi sono, come vivono e cosa sentono le persone con acondroplasia o altre forme di nanismo», spiega Nadia Pivato, presidente di Acondroplasia Insieme per Crescere ETS. È un’associazione nata nel 2011 dalla volontà di un gruppo di genitori e persone acondroplasiche.

Aggiunge: «Bisogna proporre un’immagine rispettosa, positiva e realistica delle loro vite. Fortunatamente, anche in Italia la situazione è cambiata rispetto a pochi anni fa. Negli ultimi tempi, grazie anche agli atleti paralimpici che gareggiano in varie discipline, tra cui il nuoto e l’atletica leggera, si sta affermando una rappresentazione diversa dell’acondroplasia. La conoscenza aiuta a creare una società più inclusiva».

Che cosa è l’acondroplasia e chi colpisce?

L’acondroplasia è una malattia genetica rara. Caratterizzata da una compromessa crescita ossea endocondrale, è la forma più comune di bassa statura disarmonica. Tutta colpa di una mutazione genetica che pregiudica la crescita di tutte le ossa del corpo.

Nell’80% dei pazienti, la malattia è causata da una mutazione de novo nei figli di genitori di statura nella media. Le coppie dove uno dei genitori è affetto da questa mutazione genetica hanno una probabilità del 50% di trasmettere la malattia ai figli. Se entrambi i genitori ne soffrono, la probabilità che i figli siano affetti da acondroplasia omozigote, che è una condizione letale, aumenta di un ulteriore 25%. Oggi, grazie all’esame del dna fetale le coppie in cui uno dei genitori è affetto da acondroplasia possono scoprire in anticipo se il figlio nascerà o meno con questa patologia.

Il 72% dei pazienti ricorre a interventi chirurgici

Le persone con acondroplasia sono più basse, gli arti sono sproporzionati rispetto alla statura. Possono sviluppare problematiche neurologiche, cardiorespiratorie e dentali. L‘aspettativa di vita è più bassa di circa 10 anni rispetto a una persona non affetta da questa malattia.

Spesso, i pazienti ricorrono a interventi ortopedici e chirurgici. Uno studio internazionale sui dati clinici di 187 pazienti dai 5 agli 85 anni in sei diversi Paesi europei (Austria, Danimarca, Germania, Italia, Spagna e Svezia), ha dimostrato che il 72% di essi ha subito almeno un intervento chirurgico, con relativa segnalazione di complicanze mediche e chirurgiche.

Acondroplasia e il farmaco vosoritide

«Il mondo dell’acondroplasia sta cambiando profondamente da quando, circa un anno fa, anche in Italia è stato introdotto il farmaco vosoritide. È stato autorizzato dapprima per la fascia di età 5-14 anni e ora anche per quella 2-5», spiega Nadia Pivato. Si tratta di un farmaco in grado di favorire la crescita dei bambini.

«Ogni giorno l’associazione è accanto a coloro che hanno scelto, su indicazione dello specialista, di sottoporsi a terapia con vosoritide», continua Nadia Pivato. «Al tempo stesso, vigiliamo sulle altre sperimentazioni in corso a livello internazionale per analoghi trattamenti farmacologici. Tra le nostre famiglie c’è fermento e tante aspettative, ma io ci tengo a sottolineare che non si tratta di un rimedio magico che cancellerà l’acondroplasia».

«Ai nostri ragazzi – conclude – mi sento di dire una sola cosa: non dimenticate la vostra identità e non perdete di vista la vita quotidiana, che è fatta di scuola, sport, relazioni. L’importante è comprendere i propri punti di forza e riconoscere i propri limiti per vivere il più possibile nella normalità».