C’è un tipo di inquinamento che non si vede, non si tocca e non si percepisce. Eppure entra in noi con ogni respiro. È quello causato dalle micro e nanoplastiche presenti nell’aria, una presenza crescente che non riguarda più solo i mari o le bottiglie abbandonate, ma si è ormai spostata nell’ambiente più vicino e vitale.

Secondo la fonte, ogni essere umano potrebbe inalare decine di migliaia di particelle di plastica all’anno. In media, si parla di circa 200 al giorno, un’esposizione che avviene silenziosamente, soprattutto all’interno delle abitazioni, dove le provenienze principali sono tessuti sintetici, tendaggi, tappeti e indumenti tecnici. Le microfibre, rilasciate soprattutto durante l’uso e il lavaggio dei capi in pile o poliestere, possono rimanere sospese nell’aria per ore.

Una volta entrate nel corpo, queste particelle minuscole alcune più piccole di un batterio, non si limitano a restare nei polmoni. Tracce di plastica sono state individuate nel sangue, nel sistema linfatico, persino nel cervello e nei depositi arteriosi. Alcune ricerche recenti hanno evidenziato correlazioni tra la presenza di plastica nel sistema circolatorio e un aumento del rischio di eventi cardiovascolari gravi, come ictus e infarti.

Plastica come “vettore” di tossine

Il danno potenziale non è causato solo dal materiale plastico in sé. Queste microparticelle possono assorbire e trasportare sostanze chimiche tossiche presenti nell’ambiente, come metalli pesanti, idrocarburi o gas irritanti. Si comportano, in sostanza, come carrier inquinanti, portando nel corpo una miscela pericolosa che può danneggiare cellule e tessuti.

Alcuni studi avanzano l’ipotesi che le microplastiche possano persino contribuire alla diffusione della resistenza agli antibiotici, fungendo da supporto per batteri patogeni e geni resistenti. Se confermato, sarebbe un ulteriore campanello d’allarme.

Il problema della misurazione

Nonostante le evidenze crescenti, misurare la presenza di plastica nell’aria resta complicato. Le tecnologie più affidabili, come la spettroscopia Raman o la microscopia elettronica a scansione, sono ancora costose e difficili da usare su larga scala. Il risultato è che, in gran parte del mondo, non esistono ancora sistemi pubblici di monitoraggio delle microplastiche aerodisperse.

Eppure, proprio le città, tra traffico, riscaldamento domestico e processi industriali, rappresentano i luoghi dove il problema è più acuto. Serve un investimento deciso in ricerca, strumenti di rilevazione più economici e un cambio di rotta nelle politiche ambientali. Perché respirare plastica non può diventare la normalità.