
In questa guida parliamo di una malattia frequente che colpisce soprattutto i fumatori ma non solo. La Broncopneumopatia cronica ostruttiva è una malattia del sistema respiratorio al momento incurabile e legata a diversi fattori di rischio. Molto spesso le esposizioni professionali a sostanze nocive sono correlate all’insorgenza della malattia specialmente se associate al fumo di sigaretta.
Qui di seguito vediamo innanzitutto cos’è la BPCO, quali sono i sintomi e come si ottiene una diagnosi certa. Vediamo quali sono i trattamenti più efficaci a disposizione e facciamo il punto sulle sostanze inserite nella lista I dell’INAIL che provocano la BPCO e sui diritti e tutele a favore degli esposti.
Certo! Ecco una versione più discorsiva e continua del testo, mantenendo la chiarezza ma senza l’uso abbondante di elenchi puntati:
Cos’è la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)
Indice dei contenuti
La broncopneumopatia cronica ostruttiva, spesso indicata con la sigla BPCO, è una malattia respiratoria che ostacola il normale passaggio dell’aria nei polmoni e rende difficoltosa la respirazione.
Si tratta di una patologia cronica e progressiva, il che significa che tende a peggiorare nel tempo, anche se con cure adeguate è possibile rallentarne l’evoluzione e migliorare significativamente la qualità della vita di chi ne è affetto.
La BPCO comprende due condizioni spesso compresenti: la bronchite cronica, caratterizzata da tosse persistente e produzione di catarro, e l’enfisema, che danneggia in modo irreversibile le piccole sacche d’aria dei polmoni (gli alveoli), compromettendo lo scambio di ossigeno con il sangue.
È una malattia che può rimanere silente per anni e manifestarsi solo in una fase già avanzata, quando i danni sono ormai consistenti.
Bronchite asma e BPCO: le differenze
La bronchite cronica è definita dalla presenza di tosse con catarro per almeno tre mesi all’anno per due anni consecutivi. Quando a questa condizione si associa un’ostruzione delle vie respiratorie, si parla di bronchite cronica ostruttiva. L’enfisema, invece, comporta una distruzione irreversibile delle pareti degli alveoli, le strutture dove avviene lo scambio di ossigeno, provocando un loro ingrossamento e una perdita di elasticità dei polmoni.
Una forma simile è la bronchite asmatica cronica, che combina tosse con catarro e sibili respiratori. In questi casi, l’ostruzione delle vie aeree è solo parzialmente reversibile e colpisce spesso fumatori con asma. Alcuni pazienti soffrono sia di asma che di BPCO: in questi casi, si tende a trattare prioritariamente l’asma.
Dal punto di vista anatomico, nell’enfisema si verifica il collasso dei piccoli bronchioli durante l’espirazione, mentre nella bronchite cronica si ha un aumento delle secrezioni e un rigonfiamento infiammatorio dei bronchi, che ostacolano ulteriormente il passaggio dell’aria. Questo provoca un progressivo restringimento e danneggiamento delle piccole vie aeree.
Come funziona la BPCO e tipologie di malattia
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) si manifesta con una riduzione persistente della capacità di espirare, ovvero una difficoltà costante a far uscire l’aria dai polmoni. Comprende due condizioni principali: bronchite cronica ostruttiva ed enfisema, che spesso coesistono nello stesso paziente.
Uno degli effetti più rilevanti della BPCO è l’intrappolamento dell’aria nei polmoni: dopo ogni inspirazione, una parte dell’aria resta bloccata, rendendo faticosa ogni espirazione. Inoltre, col tempo, si riduce il numero di capillari attivi negli alveoli, compromettendo lo scambio di ossigeno e anidride carbonica.
Nelle fasi iniziali, i livelli di ossigeno nel sangue calano, mentre l’anidride carbonica rimane normale. Nelle fasi più avanzate, invece, l’ossigeno diminuisce ulteriormente e il livello di anidride carbonica sale.
Sintomi: quando sospettare la malattia
I primi segnali della BPCO sono spesso trascurati o attribuiti ad altri fattori, come l’età o il fumo. Uno dei sintomi iniziali più comuni è la mancanza di fiato durante le attività quotidiane, anche leggere. Col tempo, questa difficoltà respiratoria può diventare sempre più limitante, fino a compromettere anche gesti semplici come salire le scale o camminare a passo sostenuto.
Al fiato corto si accompagna spesso una tosse cronica, inizialmente saltuaria e poi sempre più persistente, quasi sempre con catarro.
In alcuni casi si possono avvertire sibili durante la respirazione, senso di oppressione al torace e una sensazione di affaticamento costante.
Con il progredire della malattia, la persona può perdere peso, accusare debolezza muscolare e notare un colorito bluastro delle labbra o delle unghie, segno di una carenza di ossigeno nel sangue.
Come si arriva alla diagnosi di BPCO?
La diagnosi della BPCO avviene attraverso una serie di passaggi. Il medico, dopo aver raccolto informazioni sui sintomi, le abitudini di vita e l’eventuale esposizione a sostanze irritanti, prescrive esami specifici per valutare la funzionalità respiratoria. Il più importante è la spirometria, che misura la quantità d’aria che una persona riesce a espellere dai polmoni e con quale velocità. Questo test è fondamentale per capire quanto siano ostruiti i bronchi e per monitorare nel tempo l’andamento della malattia.
Oltre alla spirometria, possono essere richiesti esami del sangue, radiografie o TAC del torace per osservare lo stato dei polmoni e test per valutare l’ossigenazione del sangue, come l’emogasanalisi.
In alcuni casi, il paziente viene invitato a camminare per sei minuti per valutare come il corpo reagisce allo sforzo fisico.
Le cause e i principali fattori di rischio: quali sono?
La causa principale della BPCO è il fumo di sigaretta. La stragrande maggioranza delle persone affette da questa malattia ha fumato per anni oppure è stata esposta in modo continuativo al fumo passivo. Tuttavia, il fumo non è l’unico responsabile.
Anche lavorare per lunghi periodi in ambienti con presenza di polveri, fumi industriali o sostanze chimiche può aumentare il rischio, così come vivere in zone ad alta concentrazione di inquinanti atmosferici o cucinare a lungo in ambienti poco ventilati, specialmente nei Paesi dove si utilizzano ancora stufe o fuochi aperti.
In rari casi, la BPCO può essere legata a un fattore genetico: un difetto ereditario noto come deficit di alfa-1 antitripsina, che rende i polmoni più vulnerabili ai danni, anche in assenza di fumo.
Infine, l’età è un altro elemento da considerare: dopo i 40 anni, il rischio di sviluppare la malattia aumenta, soprattutto se si hanno alle spalle anni di esposizione a sostanze nocive o infezioni respiratorie ricorrenti.
Le cure e i trattamenti disponibili: quali sono?
Anche se oggi non esiste una cura definitiva per la BPCO, esistono molte possibilità per gestirla e migliorare la vita di chi ne è colpito. Il primo passo fondamentale è smettere di fumare: si tratta dell’unica azione in grado di rallentare davvero la progressione della malattia. Anche chi ha già sintomi avanzati può ottenere benefici smettendo il prima possibile.
Dal punto di vista terapeutico, vengono utilizzati farmaci che aiutano a respirare meglio, mantenendo le vie aeree più aperte e meno infiammate. I principali sono i broncodilatatori, che rilassano i muscoli dei bronchi, e i corticosteroidi inalatori, che riducono l’infiammazione.
Nei periodi in cui la malattia si aggrava, spesso a causa di infezioni, può essere necessario assumere antibiotici o antivirali. Se il catarro è molto denso e difficile da espellere, possono essere prescritti mucolitici.
Ossigeno a domicilio e vaccinazioni
Quando la capacità polmonare si riduce troppo, e il livello di ossigeno nel sangue scende, può essere necessario l’uso dell’ossigeno a domicilio, anche per diverse ore al giorno. In parallelo, molte persone traggono grande beneficio dai programmi di riabilitazione respiratoria, che uniscono esercizio fisico controllato, educazione sanitaria e supporto psicologico. L’obiettivo è quello di migliorare l’autonomia nella vita quotidiana, recuperare energia e sentirsi meno soli nella gestione della malattia.
Anche le vaccinazioni rivestono un ruolo importante nella prevenzione delle riacutizzazioni. Vaccinarsi ogni anno contro l’influenza e seguire le raccomandazioni per il vaccino antipneumococcico aiuta a ridurre il rischio di infezioni che possono compromettere ulteriormente i polmoni.
Come convivere con la BPCO
Convivere con la BPCO può essere impegnativo, ma non significa rinunciare a una vita dignitosa e attiva. È importante imparare a riconoscere i segnali di peggioramento, seguire con costanza la terapia, mantenersi fisicamente attivi compatibilmente con le proprie possibilità e adottare uno stile di vita il più possibile sano. Anche l’alimentazione ha un ruolo, così come il sostegno della famiglia e dei professionisti sanitari.
Con il giusto approccio, molte persone affette da BPCO riescono a mantenere una buona qualità di vita e a convivere serenamente con la propria condizione.
La BPCO come malattia professionale: categorie a rischio
L’esposizione a sostanze nocive nell’ambiente di lavoro è un fattore rilevante nello sviluppo della BPCO. Già nel 2010, l’American Thoracic Society ha dichiarato che esistono evidenze sufficienti per attribuire un legame causale tra tali esposizioni e l’insorgenza della BPCO.
Settori industriali come l’edilizia, la siderurgia, l’agricoltura (con esposizione a polveri di granaglie ed endotossine) e l’industria tessile presentano un rischio elevato a causa della presenza di polveri sottili, gas e sostanze chimiche irritanti.
È fondamentale che i lavoratori adottino misure di protezione adeguate, come l’uso di mascherine filtranti e sistemi di ventilazione, per ridurre il rischio di sviluppare la malattia.
Sostanze nocive correlate alla BPCO
Tra le polveri correlate alla malattia ci sono quelle di silice e cadmio e di numerosi pesticidi. Altre sostanze, come combustibili, ammoniaca, formaldeide, stirene, vetro, asfalto, gomma, plastica, legno e carta, sono anch’esse associate a un incremento del rischio. Studi sperimentali su modelli animali hanno, inoltre, dimostrato che l’inalazione di composti come l’anidride solforosa, silice, vanadio ed endotossine può indurre condizioni simili all’enfisema e alla bronchite cronica.
La BPCO come malattia professionale: i numeri
La diagnosi della BPCO, soprattutto quando si sospetta un’origine professionale, risulta particolarmente complessa. La malattia ha molteplici fattori causali e un lungo periodo di latenza, rendendo difficile collegare l’insorgenza dei sintomi alle esposizioni avvenute anni prima. Per questo motivo, la raccolta di una dettagliata storia lavorativa diventa cruciale.
Il medico deve conoscere con precisione le attività professionali svolte, le sostanze irritanti con cui il paziente è venuto in contatto, la durata e l’intensità delle esposizioni, l’uso di dispositivi di protezione e le condizioni degli ambienti di lavoro, inclusi i sistemi di aspirazione presenti. Attribuire la BPCO esclusivamente a cause lavorative è complicato, soprattutto in soggetti fumatori.
Dall’analisi dei dati forniti dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) emerge che ogni anno vengono segnalati solo poche centinaia di casi di BPCO come malattia professionale, mentre si stima che, con un Population Attributable Risk (PAR) del 15%, in realtà ci sarebbero circa 180.000 casi.
Perché la diagnosi della Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva professionale è sottostimata?
Il 15–19% di tutti i casi di BPCO è attribuibile a esposizioni sul lavoro, percentuale che può salire fino al 30% nei soggetti non fumatori. A livello globale, infatti, si stima che tra il 25% e il 45% delle persone affette da BPCO non siano fumatori.
Determinare però un legame causale diretto tra la BPCO e le esposizioni lavorative è complicato da vari fattori. Innanzitutto, la malattia deriva da un insieme di determinanti, tra cui l’esposizione a diverse sostanze irritanti e la predisposizione genetica. Inoltre, il lungo intervallo di tempo tra l’esposizione e la comparsa dei sintomi rende difficile stabilire una relazione temporale precisa.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dal “healthy worker effect”: i soggetti che iniziano a lavorare in ambienti a rischio spesso si trovano in condizioni di salute migliori, e ciò può portare a una sottostima degli effetti negativi dell’esposizione nel lungo termine.