Per decenni, le commozioni cerebrali sono state considerate semplici “colpi alla testa”, fastidiosi inconvenienti per atleti e soldati. Ma dietro queste lesioni si cela una minaccia ben più insidiosa e subdola. Uno studio condotto dalla Tufts University e dall’Università di Oxford ha rivelato un legame sorprendente tra traumi cranici e la riattivazione di virus latenti nel cervello, un processo che potrebbe scatenare malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.
I risultati, pubblicati su Science Signaling, aprono una nuova prospettiva sulla genesi delle patologie neurologiche
Il trauma cranico e la silenziosa minaccia dei virus dormienti
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Il nostro organismo ospita una vasta gamma di agenti patogeni, tra cui numerosi virus che, pur essendo presenti nel corpo, restano spesso silenti per lunghi periodi, senza manifestare alcun sintomo evidente. Tra questi, l’herpes simplex 1 (HSV-1) e il varicella-zoster risultano particolarmente comuni, con prevalenze che superano rispettivamente l’80% e il 95% della popolazione.
Una volta che questi microrganismi penetrano nel sistema nervoso, si rifugiano all’interno dei neuroni e delle cellule gliali, rimanendo in uno stato di quiescenza, pronti a riattivarsi quando le condizioni lo permettono. Fattori come lo stress, l’immunosoppressione, o, come recentemente scoperto, un trauma cranico, possono agire da innesco, scatenando una reazione a catena di eventi neurodegenerativi. Ma come si è arrivati alla correlazione tra commozione celebrare e riattivazione dei virus?
La scoperta: da una commozione cerebrale all’alzheimer
La chiave di questa ricerca risiede nel lavoro della dottoressa Dana Cairns, ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria Biomedica della Tufts University. Cairns ha dimostrato che, in presenza di HSV-1, un trauma fisico al cervello può provocare la riattivazione del virus, portando alla formazione delle caratteristiche placche amiloidi e dei grovigli di tau tipici dell’Alzheimer.
In esperimenti condotti su modelli di tessuto cerebrale, la ricercatrice ha simulato una commozione cerebrale tramite una scossa meccanica controllata. Nei campioni infetti da HSV-1, il trauma ha innescato una risposta infiammatoria e la successiva degenerazione neuronale. Al contrario, nei modelli privi di virus, il danno cerebrale non ha portato alla stessa catena di eventi.
«Questo ci suggerisce che le commozioni cerebrali non agiscono da sole», afferma l’esperta. «C’è un attore nascosto – un virus latente – che si risveglia e accelera il declino neurodegenerativo».
Le radici della ricerca: un percorso di 30 anni
Il legame tra virus latenti e neurodegenerazione non è nuovo. La dottoressa Ruth Itzhaki, coautrice dello studio e visiting fellow all’Università di Oxford, aveva avanzato per la prima volta questa ipotesi oltre 30 anni fa. Le sue ricerche iniziali mostrarono una sorprendente presenza di HSV-1 nei cervelli di anziani affetti da Alzheimer.
Negli anni successivi, Itzhaki dimostrò che eventi come infezioni, stress o traumi fisici potevano riattivare il virus, causando danni neuronali progressivi. Tuttavia, la mancanza di modelli sperimentali avanzati aveva a lungo limitato la possibilità di dimostrare concretamente questa teoria.
Modelli avanzati di cervello in laboratorio
Lo studio recente ha fatto notevoli passi avanti grazie a innovativi modelli di tessuto cerebrale. Utilizzando proteine di seta e collagene, i ricercatori hanno creato strutture tridimensionali che replicano la complessità dell’ambiente cerebrale umano.
Questi modelli, larghi solo 6 mm ma incredibilmente sofisticati, permettono di osservare in tempo reale la comunicazione tra neuroni, l’infiammazione e persino la formazione di placche amiloidi. In questo modo, è stato possibile simulare l’impatto di una commozione cerebrale e studiare la risposta dei neuroni infetti.
«Questi modelli rappresentano un salto di qualità nella ricerca neurologica», afferma il professor David Kaplan della Tufts University. «Ora possiamo osservare come virus, proteine e neuroni interagiscono in un ambiente che ricorda quello del cervello umano».
L’impatto sugli sportivi e i soldati
I risultati della ricerca hanno implicazioni enormi per atleti e militari, categorie spesso esposte a traumi cranici ripetuti. Calciatori, pugili, giocatori di football americano e soldati sono particolarmente vulnerabili a commozioni cerebrali, e lo studio suggerisce che ogni colpo potrebbe contribuire ad aumentare il rischio di malattie neurodegenerative.
Già oggi, personalità come Muhammad Ali (affetto da Parkinson) e numerosi ex giocatori di NFL hanno mostrato segni di encefalopatia traumatica cronica (CTE), una condizione legata a traumi ripetuti.
Verso nuove terapie preventive
Una delle conclusioni più promettenti dello studio è la possibilità di utilizzare farmaci antivirali o antinfiammatori come misure preventive immediatamente dopo un trauma cranico. Bloccare la riattivazione del virus nelle prime fasi potrebbe ridurre significativamente il rischio di sviluppare Alzheimer o Parkinson.
«Questa scoperta cambia il modo in cui pensiamo ai traumi cerebrali», conclude Cairns. “Non si tratta solo di evitare lesioni fisiche, ma anche di trattare il cervello come un ecosistema vulnerabile, pronto a essere attaccato da virus dormienti».