La rianimazione cardiopolmonare (RCP) è una tecnica salvavita che può fare la differenza tra la vita e la morte durante un arresto cardiaco. Tuttavia, un problema apparentemente insignificante, ma profondamente radicato, sta compromettendo la sua efficacia: i manichini di addestramento. Uno studio ha rivelato che la maggior parte dei manichini utilizzati per insegnare la RCP sono progettati con toraci piatti, ignorando caratteristiche corporee come i seni. Questo difetto non solo perpetua un modello di corpo maschile come standard, ma contribuisce a una riluttanza culturale nell’eseguire la RCP su donne, con conseguenze potenzialmente fatali

Rianimazione cardiopolmonare: un problema di progettazione e disparità di genere

La rianimazione cardiopolmonare (RCP) è una tecnica salvavita che può fare la differenza tra la vita e la morte durante un arresto cardiaco

Una recente ricerca australiana ha evidenziato una disuguaglianza preoccupante: le donne hanno il 10% di probabilità in meno rispetto agli uomini di ricevere la rianimazione cardiopolmonare (RCP) in caso di arresto cardiaco fuori dall’ospedale. Questa disparità, che può risultare fatale, affonda le sue radici in una combinazione di fattori culturali, sociali e progettuali. L’intervento tempestivo con la RCP è essenziale per salvare vite, ma il genere continua a influire sull’efficacia del soccorso.

Barriere culturali e stereotipi sociali

Le differenze nell’accesso alla RCP non derivano unicamente da problemi medici, ma sono alimentate da pregiudizi radicati nella società. Spesso, gli astanti esitano a intervenire su una donna per timore di essere accusati di molestie sessuali, per paura di causare lesioni o per semplice disagio nel toccare il seno. Questo retaggio culturale, unito alla difficoltà nel riconoscere i sintomi dell’arresto cardiaco nelle donne, contribuisce a tassi di sopravvivenza inferiori rispetto a quelli degli uomini.

La reticenza nell’intervenire su un corpo femminile, soprattutto durante situazioni di emergenza, evidenzia un problema più ampio: la mancanza di consapevolezza e formazione su come affrontare tali situazioni senza pregiudizi o imbarazzo.

Manichini di addestramento per la rianimazione: uno standard maschile che esclude la diversità

Un ulteriore ostacolo è rappresentato dai manichini utilizzati per l’addestramento alla RCP. Uno studio del 2023 ha dimostrato che il 95% dei manichini sul mercato non include seni, mentre il 94% è modellato su corpi maschili, bianchi e magri. Questa mancanza di rappresentazione del corpo femminile o di altre tipologie fisiche rinforza un modello di formazione che non prepara adeguatamente i soccorritori ad affrontare la diversità corporea.

La progettazione di strumenti per la formazione alla RCP che ignorano le caratteristiche fisiche delle donne e di altre persone con corpi non conformi allo standard maschile tradisce un pregiudizio di fondo. Questo porta a una formazione meno efficace e a un ulteriore aggravamento delle disparità di genere e di inclusività nella medicina d’emergenza.

Una soluzione: diversificare i manichini di addestramento

La formazione alla RCP deve evolversi per affrontare queste lacune. I manichini utilizzati dovrebbero rappresentare una gamma più ampia di corpi, includendo seni, taglie maggiori e diverse tonalità di pelle. La ricerca mostra che la pratica su manichini realistici influenza il comportamento degli astanti durante le emergenze reali. Pertanto, investire in risorse di formazione più diversificate è essenziale.

Un esempio positivo è rappresentato dai pochi manichini disponibili con seni, che insegnano agli studenti a intervenire senza esitazione. Tuttavia, questi strumenti sono ancora rari, e il cambiamento deve essere sistemico. Inoltre, sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi cardiovascolari femminili è cruciale per ridurre i pregiudizi e migliorare i tassi di sopravvivenza. Ma passiamo all’atto pratico.

Come eseguire una RCP corretta

Eseguire la rianimazione cardiopolmonare su una persona con seno non comporta alcuna modifica alla tecnica standard. Il principio di base rimane invariato: garantire compressioni efficaci per mantenere il flusso sanguigno al cervello e agli organi vitali durante un arresto cardiaco.

Per effettuare le compressioni toraciche, è necessario posizionare il tallone della mano al centro del torace, precisamente tra i capezzoli. L’altra mano viene sovrapposta, con le dita intrecciate, per garantire una pressione uniforme. Le compressioni devono essere eseguite con forza e rapidità, raggiungendo una profondità di circa 5 centimetri, e seguendo un ritmo costante di 100-120 compressioni al minuto. È cruciale evitare qualsiasi esitazione, poiché ogni secondo è prezioso per salvare la vita della persona colpita.

Nel caso in cui sia necessario utilizzare un defibrillatore (DAE), potrebbe essere indispensabile rimuovere il reggiseno, in particolare se è dotato di ferretto, poiché questo potrebbe interferire con il posizionamento degli elettrodi o con il corretto funzionamento del dispositivo. Tuttavia, questa operazione deve essere eseguita rapidamente e senza esitazioni, per non ritardare l’intervento salvavita. La priorità resta sempre l’efficacia delle manovre e la tempestività nel ripristinare il ritmo cardiaco.

La preparazione adeguata e una formazione che superi i pregiudizi culturali e sociali sono fondamentali per garantire che le procedure vengano applicate correttamente, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche della persona soccorsa. Intervenire con sicurezza e senza indugi può fare la differenza tra la vita e la morte.

Verso un cambiamento culturale e tecnologico

Affrontare le lacune nella progettazione dei manichini RCP è solo una parte della soluzione. La sfida più grande è superare le barriere culturali che impediscono agli astanti di intervenire. Educare il pubblico sull’importanza della RCP, diversificare i materiali di formazione e sensibilizzare sulla salute cardiovascolare femminile sono passi fondamentali per salvare vite.

Come sottolineato da Jessica Stokes-Parish della Bond University, e Rebecca A. Szabo, «investire in una formazione inclusiva non è solo una questione di equità, ma di necessità. Ogni vita conta, e garantire che tutti abbiano pari possibilità di sopravvivenza è un imperativo che non possiamo più ignorare».