Il bed-sharing, ovvero la pratica di condividere il letto con il proprio neonato, è una tradizione millenaria che affonda le radici nelle prime società umane. In passato, dormire insieme ai propri figli era la norma in quasi tutte le culture del mondo, una necessità per garantire calore, sicurezza e vicinanza fisica. Ancora oggi, in molte parti del mondo come l’Asia e l’Africa, questa usanza è vista come una componente naturale della crescita e dello sviluppo dei bambini. Tuttavia, nei paesi occidentali, questa abitudine è stata oggetto di un acceso dibattito, in particolare a partire dal XX secolo, con l’emergere di nuove teorie sul sonno, la sicurezza dei neonati e relativo impatto psicologico

Le origini e l’evoluzione del bed-sharing

Il bed sharing è oggetto di un acceso dibattito, con l’emergere di nuove teorie sul sonno, la sicurezza dei neonati e relativo impatto psicologico

Le prime comunità umane non avevano accesso alle tecnologie moderne o agli ambienti sicuri in cui far dormire i neonati separatamente. Le famiglie dormivano insieme per sfruttare il calore corporeo e per proteggere i più piccoli da eventuali pericoli. Questa tradizione, nota come bed sharing è rimasta intatta in molte società non occidentali, dove si crede che il contatto continuo tra madre e bambino favorisca il benessere emotivo e fisico del neonato.

Nei Paesi industrializzati, invece, questa pratica ha conosciuto un declino durante il XX secolo, con l’avvento della culla e la promozione di pratiche di sonno più indipendenti, considerate più sicure.

Negli ultimi decenni, tuttavia, è tornata al centro dell’attenzione. Molti genitori scelgono infatti di far dormire i bebè nel lettone,

Questo perché può facilitare l’allattamento e migliorare la qualità del sonno sia per il bambino sia per la madre. Ma quali sono i rischi e i benefici?

Pro e contro del bed-sharing

Il bed-sharing rappresenta un’esperienza profondamente intima tra genitore e figlio. I neonati che dormono vicino ai genitori tendono a sentirsi più sicuri e protetti. Questo, può ridurre l’ansia e promuovere un sonno più tranquillo. Inoltre, la vicinanza fisica consente alle madri di rispondere più rapidamente alle necessità del bambino. Fattore che facilita l’allattamento notturno e migliora la regolazione dei ritmi biologici del neonato, come respirazione e battito cardiaco.

Tuttavia, sul fronte opposto, i detrattori dell’usanza mettono in evidenza alcuni possibili aspetti negativi, in particolare sul piano psicologico e comportamentale. Secondo alcune teorie, il bed-sharing potrebbe interferire con l’autonomia e l’indipendenza del bambino, specialmente se la pratica viene protratta per lunghi periodi.

Alcuni psicologi ritengono che il bambino potrebbe sviluppare una dipendenza eccessiva dai genitori, con potenziali difficoltà nel separarsi o dormire da solo in età più avanzata.

Un altro punto sollevato dai critici riguarda il benessere psicologico dei genitori, in particolare quello della madre. Il sonno condiviso potrebbe interferire con il riposo della neomamma. Questo potrebbe portare a un aumento dello stress, dell’irritabilità e persino della depressione post-partum, soprattutto se la mamma non riesce a riposare adeguatamente.

Oltre agli aspetti psicologici, i detrattori si concentrano anche sui rischi fisici, come il soffocamento accidentale o l’intrappolamento.

A tal proposito, alcuni studi collegano il bed-sharing a un aumento del rischio di Sindrome della Morte Improvvisa del Lattante (SIDS).

Sottolineano pertanto la necessità di misure di sicurezza per ridurre tali rischi. Oggi tuttavia uno studio, smentisce, almeno dal punto di vista del benessere psicologico, gli eventuali rischi di questa abitudine.

Il bed-sharing non influisce sulla salute psicologica

Un recente studio condotto dall‘Università dell’Essex, in Inghilterra, ha fornito nuovi spunti sul bed-sharing, sfatando alcuni dei miti più comuni legati a questa pratica. Lo studio ha seguito quasi 17mila bambini britannici per undici anni.

Durante tutto il periodo, i ricercatori hanno monitorato lo sviluppo emotivo e comportamentale di coloro che avevano condiviso il letto con i genitori. Sorprendenti i risultati.

Non è emersa alcuna correlazione significativa tra il bed-sharing all’età di nove mesi e problemi emotivi o comportamentali negli anni successivi.

A sottolinearlo, la dottoressa Ayten Bilgin, autrice della ricerca. Al contrario, i bambini coinvolti nello studio sono risultati generalmente felici e in buona salute. Pubblicato sulla rivista Attachment & Human Development, questo studio ha utilizzato i dati del Millennium Cohort Study del Regno Unito, che ha raccolto informazioni dettagliate sulle abitudini familiari e sul comportamento dei bambini a diverse età.

I genitori che partecipavano allo studio sono stati intervistati riguardo alla condivisione del letto e al comportamento dei loro figli, con particolare attenzione a sintomi di ansia, depressione, aggressività e iperattività. 

Vergogna e sensi di colpa

Oltre ai dati raccolti, Bilgin ha voluto porre l’accento su un importante aspetto emotivo legato alla pratica. Spesso, i genitori che scelgono il bes-sharing si sentono giudicati o provano vergogna, temendo di mettere a rischio la sicurezza o lo sviluppo del bambino. «Nonostante il dibattito in corso sui potenziali danni e benefici a lungo termine della pratica è stata condotta poca ricerca scientifica su questo argomento. I risultati del nostro studio indicano che la condivisione del letto, se effettuata in modo sicuro, non ha effetti negativi rilevanti sullo sviluppo emotivo e comportamentale dei bambini. Questo potrebbe alleviare parte del senso di colpa e della vergogna che molti genitori provano riguardo a questa pratica».