La prevenzione del suicidio in carcere è indubbiamente una questione di diritto alla salute. Quest’ultimo è un diritto umano fondamentale riconosciuto a livello internazionale e sancito in molte costituzioni, inclusa la Costituzione italiana, che lo esplicita nell’art. 32.
Nella prospettiva dei detenuti, il diritto alla salute in carcere comprende il diritto di ricevere cure mediche e servizi di salute mentale di qualità. Il diritto alla salute implica il diritto di ogni detenuto a ricevere assistenza medica e cure per la salute mentale. La prevenzione del suicidio rientra in questo contesto, poiché è un aspetto critico della salute mentale dei detenuti.
Il diritto alla salute è fondamentale in ogni ambito della vita. Lo sostengono a gran voce le associazioni presiedute dall’avv. Ezio Bonanni, che lottano ogni giorno per i diritti dei propri assistiti e tutelati. Si tratta dell’Osservatorio Vittime del Dovere e dell’Osservatorio Nazionale Amianto; esse rispondono al numero verde 800.034.294, che è possibile contattare in qualsiasi momento per ottenere una consulenza gratuita personalizzata.
Suicidio in carcere nel 2023: triste bilancio
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In Italia il bilancio dei morti in carcere per suicidio è triste. Al 29 ottobre 2023, in base a quanto riporta il sito Ristretti.it, il numero dei detenuti che ha posto fine alle sue sofferenze, è 56. Un risultato che supera già quello del 2019, che a fine anno aveva chiuso con 53. Drammatico il bilancio dell’anno scorso: il 2022 ha chiuso con 84 suicidi in carcere, mentre il 2021 con 57 e il 2020 con 61 (come nel 2018).
“Nelle carceri italiane – riporta il sito specializzato – i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere e, spesso, lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori, quindi in strutture particolarmente fatiscenti, con poche attività trattamentali, con una scarsa presenza del volontariato. In alcuni casi le persone che si sono tolte la vita erano affette da malattie invalidanti e ricoverate in Centri Clinici Penitenziari, ma sembra che sia l’allocazione in un determinato reparto a rappresentare il principale fattore di rischio, più che la gravità della patologia (…)”. Sta nel senso di “‘perdita di ogni speranza’ la spiegazione – semplice e palese – per la maggior parte dei suicidi che avvengono nelle carceri. “Si uccide chi conosce il proprio destino e ne teme l’ineluttabilità”, scrive l’Associazione A Buon Diritto – Associazione per le libertà“.
Prevenzione del suicidio in carcere: i Quaderni ISSP
In Italia il tema del suicidio in carcere è stato trattato nei quaderni ISSP. Il documento relativo a questo delicato tema, seppure del 2011, riporta che “i detenuti in attesa di giudizio e i detenuti condannati hanno un tasso di tentativo di suicidio rispettivamente di 7.5 e 6 volte maggiore degli uomini nella popolazione generale“; e che “il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri“.
E sottolinea: “Questi dati ci riportano anche a un problema di base riguardante le cause del suicidio in ambiente carcerario. Da una parte, le persone che infrangono la legge portano con sé diversi fattori di rischio per il suicidio (“importano” il rischio), e tra loro il tasso di suicidio continua ad essere più elevato anche dopo la scarcerazione. Ciò non significa che l’ambiente detentivo non abbia un impatto nello sviluppo degli atti suicidari, e dall’altra parte è proprio quando questi individui vulnerabili sono all’interno dell’istituzione carceraria, e quindi raggiungibili, che andrebbero trattati. In più, la detenzione in sé per sé è un evento stressante anche per i detenuti “sani”, in quanto priva la persona di risorse basilari“.
Le conseguenze della morte di un detenuto
Oltre all’inevitabile interesse da parte della stampa, il che potrebbe investire la questione di ripercussioni politiche e istituzionali, in caso di morte di un soggetto detenuto è possibile che si verifichino conseguenze anche per il personale penitenziario. Come mettono in evidenza gli stessi Quaderni ISSP, “qualora l’autorità giudiziaria dovesse ravvisare negligenze, ritardi o omissioni nel comportamento degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, nulla osta alla possibilità di ravvisare in queste ipotesi una responsabilità penale per omicidio a titolo di omissione colposa“.
Inoltre, “il rischio di suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di Polizia Penitenziaria e per gli altri detenuti. Infatti, le ripercussioni morali o materiali che può avere un fenomeno suicidario all’interno di un istituto penitenziario sono molteplici. Dal sentimento di rabbia con conseguenti proteste degli altri detenuti nei confronti del personale addetto alla sezione detentiva per non aver posto in essere quei controlli necessari o tempestivi volti a scongiurare un tale evento; fino alla sensazione di impotenza dello stesso personale che, in casi estremi, potrebbe somatizzare un simile avvenimento con ripercussioni anche gravi sul proprio stato di salute psico-fisica“.
Alzare il livello d’attenzione sulle morti in carcere
È necessario attivare un monitoraggio permanente sulle morti in carcere. Non soltanto per suicidio, ma anche per i decessi dovuti a malattia. È possibile farlo anche attraverso le informazioni che vengono raccolte ogni giorno dalle associazioni di volontariato e dai giornali carcerari.
Per aumentare la consapevolezza generale su questo tema, si possono far circolare in modo costante tutte le notizie; così facendo è possibile stimolare la stampa ad interessarsi maggiormente ai problemi del carcere e, di conseguenza, l’opinione pubblica. A tal fine bisognerebbe anche promuovere momenti di confronto e dibattito, coinvolgendo anche rappresentati politici e degli enti locali.
Consulenza personalizzata gratuita per diritto alla salute
Il personale carcerario e medico deve condurre valutazioni del rischio di suicidio come parte integrante del diritto alla salute. Queste valutazioni sono fondamentali per identificare i detenuti a rischio e fornire loro la giusta assistenza.
Il diritto alla salute richiede che i detenuti che mostrano segni di rischio di suicidio ricevano assistenza medica tempestiva: diagnosi, trattamento e gestione delle condizioni di salute mentale. Il diritto all’educazione sulla salute e la sensibilizzazione alla prevenzione del suicidio fanno parte del diritto alla salute dei detenuti, che nella loro fragile condizioni devono essere protetti, a prescindere dalla loro situazione giudiziaria.
Per consulenze personalizzate sul diritto alla salute, dentro e fuori dal carcere, anche in ambito professionale, basta chiamare il numero verde 800.034.294. Risponderanno gli operatori dell’Osservatorio Vittime del Dovere e dell’Osservatorio Nazionale Amianto. Le associazioni assistono e tutelano tutte le vittime, anche in sede legale quando ne sussistono le condizioni. Per informazioni è possibile contattare anche il numero whatsapp con un messaggio, oppure compilare i campi seguenti per essere ricontattati.