Quanto sono salutari le nostre città? Ci sono elementi che le rendono luoghi di benessere fisico, mentale e sociale? Per avere delle risposte basta leggere il Manifesto “La salute nelle città: bene comune”, lanciato per la prima volta nel 2016. Una revisione del documento, arricchita da elementi ricavati dall’emergenza Covid e dal ruolo della prevenzione, è stata presentata di recente in Senato.
Dal documento sono emersi dati fondamentali che hanno delineato lo stato di salute delle città. Oggi, infatti, il 37% della popolazione italiana vive nelle aree metropolitane. «Sono le città dove scoppiano le epidemie pandemiche, la spagnola, di un secolo fa si è diffusa meno, per la presenza di agglomerati meno numerosi. La città è diventata un problema medico che, però, il medico non può risolvere da solo», afferma Andrea Lenzi, presidente di Health City Institute.
I punti chiave del Manifesto per la salute nelle città
Indice dei contenuti
Ecco i punti chiave contenuti nel Manifesto per guidare le città a migliorare gli stili di vita e lo stato di salute dei cittadini:
- ogni cittadino ha diritto a una vita sana e integrata nel proprio contesto urbano;
- informazione sanitaria accessibile a tutti;
- inserire l’educazione sanitaria in tutti i programmi scolastici;
- incoraggiare stili di vita sani ovunque;
- promuovere una cultura alimentare;
- ampliare e migliorare l’accesso alle pratiche sportive e motorie per tutti i cittadini;
- favorire lo sviluppo psicofisico dei giovani e l’invecchiamento attivo;
- sviluppare politiche locali di trasporto urbano orientate alla sostenibilità ambientale e alla creazione di una vita salutare;
- far aderire i cittadini ai programmi di prevenzione primaria;
- intervenire per prevenire e contenere l’impatto delle malattie trasmissibili infettive;
- considerare la salute delle fasce più deboli e a rischio una priorità per l’inclusione sociale nel contesto urbano;
- studiare a livello urbano i determinanti della salute dei cittadini.
Educazione, prevenzione e servizi sanitari
L’esperienza del Covid ha evidenziato che è centrale la prevenzione intesa «essenzialmente come educazione nel senso anglosassone del termine» spiega Lenzi. «La popolazione in generale non riceve, soprattutto nei Paesi occidentali, un’educazione sufficiente alla Salute in generale e, in particolare, alla Salute come bene comune. Non è solo avere il farmacista e il medico vicino, ma servono servizi sanitari prossimi».
Necessitano, pertanto, prevenzione, prossimità e formazione della cittadinanza. «L’educazione – ribadisce il presidente Lenzi – è intesa a tutti i livelli. Spero si possa riprendere un progetto per la scuola. I bambini che imparano a scuola portano l’esempio di best practice a casa, insegnandola a genitori e nonni».
Per realizzare i punti del Manifesto si deve innanzitutto «mappare la situazione, servono i dati per poter governare», sottolinea l’esperto. «La mappa bisogna poi condividerla con le realtà, con i sindaci. Poi bisogna agire».
Istituita la figura dell’Health city manager
La revisione del Manifesto ha visto un maggiore coinvolgimento dei sindaci e la costituzione dell’Intergruppo parlamentare per la “Qualità di vita nelle città”. Grazie all’Intergruppo, si potranno portare all’attenzione delle istituzioni parlamentari temi di ampio interesse.
Il lavoro svolto è stato proficuo. Difatti, «l’Anci, attraverso il dipartimento per le politiche giovanili – dichiara Lenzi – ha finanziato l’istituzione di una nuova figura professionale. È l’Health city manager di cui noi, come Health City Insitute, curiamo la formazione e come Università “La Sapienza” abbiamo costruito l’ordinamento didattico. Ciò per preparare i professionisti a fare da tramite tra i vari assessorati dei comuni che spesso non dialogano. Alcuni comuni come Genova e Bari, Imola, Bologna, Torino ed altri, con varie tipologie contrattuali, l’hanno già adottato».
L’Health City Institute è diventato membro della Eupha, European of Public Health Association e porterà dinanzi alle grandi istituzioni la questione della salute.
Salute nelle città: modello di best practice
L’obiettivo che il Manifesto si prefigge è quello di «rendere alcune città modello di best practice perché siano da traino per le altre», evidenzia l’esperto. «A Roma, in centro, la prevalenza di diabete è sopra il 5%, mentre a Tor Bella Monaca è superiore al 7%. Da malattia dei ricchi, è diventata una malattia di chi vive un disagio sociale ed educazionale e mangia male. A livello globale, l’obiettivo è di fare network con grandi istituzioni come l’Unesco, per dare una visione del rischio che la città possono costituire».
Infine, c’è un primato tutto italiano. L’Unesco «ha istituito a “La Sapienza” la cattedra di Urban Health come nodo centrale di riferimento globale per l’educazione e la ricerca in materia», conclude Lenzi.