Dopo la notizia della morte di Gianni Minà l’editoriale del direttore Ruggero Alcanterini.
Gianni Minà alla Gazzetta dello Sport nel 1963
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Quando Gianni Minà fece la sua comparsa nella redazione romana de La Gazzetta dello Sport, in via del Pozzetto, a un passo da Telestampa e le Poste Centrali di Piazza S. Silvestro, una sorta di “triangolo delle Bermude” per le news, eravamo già nel 1963. La squadra si completava con Mauro Mosconi, Gianni Capitani, il “tutor” Ettore Nuara e il “capo” Michele Galdi.
Naturalmente, ci incrociavamo con Antonio Rasa, decano degli stenografi, che faceva la spola con la Camera dei Deputati. Luigi Gianoli che veniva a scrivere i suoi memorabili pezzi e naturalmente il grande Direttore Gualtiero Zanetti, romano in prestito alla milanese “rosea”.
Io mi distribuivo tra i ring del Palazzo e del Palazzetto dello Sport con Roberto Fazi, piuttosto che sui campi d’atletica, in sintonia con Alfredo Berra. Piuttosto che in cabina per sostituire il povero Rasa, che soffriva il linguaggio cifrato di Papponetti e Cannavò.
Gianni Minà e la sua passione per il mondo dello spettacolo
E Gianni Minà? Lui, che come altri del nostro gruppo aveva metabolizzato l’elisir di Roma 1960 era già sintonizzato sulla lunghezza d’onda che lo avrebbero consegnato al suo speciale ruolo di testimone del “divenire”. Quello che da sempre segna e contrassegna l’immaginario collettivo. Lui era infatti già molto coinvolto nel mondo dello spettacolo e in particolare in quello musicale.
Ricordo che in quel periodo era rapito dalla sua attività per il Magazine si successo “Ciao Amici”. Ricordo senza malinconia le frequentazioni e le amicizie comuni. La costante di una sinergia come quella con Primo Nebiolo e Pietro Mennea, che ci portarono ad essere insieme al Cuccurucù in riva al Tevere, piuttosto che a bordo pista dell’Azteca a Città del Messico nel 1979, per le Universiadi, quando La Freccia del Sud traguardò il record del mondo sui duecento.
Altri tempi: la scelta del precariato per la libertà
Infine, una comune chiave di lettura del rapporto con la vita, anche professionale. Non a caso lui come me maturò un periodo record di precariato presso una moltitudine di testate RAI, nella costante di un refolo di libertà mantenuta al prezzo dell’incertezza, ma con il vantaggio dell’imponderabile creativo. Sono convinto che molti degli azzardi e dei “goal” segnati da Gianni non si sarebbero realizzati per altro verso. Ciao Gianni, cantore libero, ora in Borea!