La plastica è un materiale onnipresente, divenuto indispensabile nella vita quotidiana per la sua versatilità e praticità. Negli ultimi anni, l’attenzione si è concentrata sempre più sui suoi effetti nocivi per la salute umana. Inizialmente il focus era rivolto all’inquinamento ambientale. Gli studi avevano infatti dimostrato che non esisteva un solo luogo sulla Terra dove non fossero presenti microplastiche, dall’Antartide alla Groenlandia. A lungo non siamo stati a conoscenza dei danni alla salute derivati dall’accumulo dell’organismo delle cosiddette microplastiche. Oggi le evidenze scientifiche più recenti hanno dimostrato che il problema esiste ed è ampio. La plastica, infatti, contiene numerose sostanze chimiche tossiche e, attraverso il rilascio di particelle microscopiche, entra nel nostro organismo con conseguenze potenzialmente gravi.
Le ricerche hanno portato alla luce la presenza di microplastiche in ogni liquido biologico umano, inclusi sangue, latte materno, organi interni e persino nella placenta. Questo fenomeno, che non trova precedenti nella storia della medicina, è associato oggi a un’ampia gamma di patologie, dalle malattie cardiovascolari ai disturbi endocrini, dai tumori alle problematiche neonatali. Una volta ingerite, infatti, possono trasferire sostanze chimiche tossiche, come ftalati, bisfenolo A (BPA) e polibromodifenileteri (PBDE), che si legano alla loro superficie o sono già presenti nei polimeri stessi.
La loro pervasività e le difficoltà nel monitorarne e limitarne la diffusione ne fanno uno dei più urgenti problemi ambientali e sanitari contemporanei.
La presenza della Plastica nell’organismo: cosa sono le microplastiche?
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Le microplastiche sono minuscole particelle di plastica, generalmente più piccole di 5 millimetri, che si formano attraverso processi di degradazione fisica, chimica o meccanica di oggetti in plastica di dimensioni maggiori. Sono spesso invisibili a occhio nudo. Possono essere suddivise in due categorie principali: primarie e secondarie. Le microplastiche primarie sono prodotte intenzionalmente sotto forma di microsfere, utilizzate in prodotti cosmetici, detergenti e abrasivi industriali, oppure come pellets industriali, noti come “nurdles”, utilizzati per la produzione di materiali plastici. Le microplastiche secondarie, invece, derivano dalla frammentazione di materiali plastici più grandi, come bottiglie, sacchetti, reti da pesca o tessuti sintetici, a causa dell’esposizione a fattori ambientali come la luce solare, il vento e l’erosione meccanica.
Una caratteristica distintiva delle microplastiche è la loro resistenza alla degradazione biologica, che le rende persistenti nell’ambiente per decenni. Questo comporta la loro accumulazione in ecosistemi terrestri e acquatici, dove rappresentano una fonte di contaminazione diffusa. Possono essere trasportate dalle correnti oceaniche, disperdendosi in ogni angolo del pianeta, dai fondali marini più profondi fino alla superficie degli oceani, e persino nell’aria che respiriamo.
La presenza della plastica nell’organismo: un problema sanitario
Studi recenti hanno dimostrato che particelle di plastica, sotto forma di microplastiche e nanoplastiche, si trovano ormai ovunque nel corpo umano. Questi frammenti microscopici, derivati dalla degradazione della plastica nell’ambiente, possono essere ingeriti tramite il cibo e l’acqua o inalati con l’aria. Sono stati rilevati nel sangue, nelle urine, nelle feci e persino nel latte materno e nella placenta.
La presenza di microplastiche nell’organismo è particolarmente preoccupante perché queste particelle possono attraversare barriere biologiche, come quella emato-encefalica, e accumularsi in organi vitali come il cuore, i reni, il fegato e il cervello. Recentemente, uno studio ha trovato microplastiche nelle placche aterosclerotiche dei pazienti con malattie cardiovascolari, suggerendo un legame tra la plastica e l’aumento del rischio di infarti e ictus.
Ricerche condotte all’Università di Catania e pubblicate su Environmental Research hanno dimostrato che il 90% dei campioni di proteine animali e vegetali analizzati conteneva microplastiche. L’aspetto più allarmante riguarda la loro capacità di trasportare altre sostanze tossiche, come pesticidi e idrocarburi policiclici aromatici (IPA), e persino batteri resistenti agli antibiotici. Qui trovate una ricerca ombrello sui danni alla salute dell’esposizione alla plastica.
I danni alla salute della plastica: quali sono le malattie correlate all’esposizione
Le malattie associate alla plastica sono molteplici e spesso gravi. Iniziamo con una lista non esaustiva delle principali patologie correlate all’esposizione alla plastica.
- Malattie cardiovascolari: la presenza di microplastiche nelle arterie può favorire l’accumulo di placca, aumentando il rischio di ictus e infarto.
- Disturbi ormonali e infertilità: gli interferenti endocrini come i bisfenoli e gli ftalati alterano il sistema ormonale, causando problemi riproduttivi, aborti spontanei e alterazioni dello sviluppo fetale.
- Cancro: diversi composti plastici, tra cui il cloruro di vinile e gli IPA, sono stati associati a tumori del fegato, del polmone, del rene e della prostata.
- Malattie metaboliche: i PFAS e altri composti chimici della plastica sono legati a obesità, diabete e aumento del colesterolo.
- Neurologiche: la neurotossicità di sostanze come gli ftalati e gli IPA può portare a deficit cognitivi, alterazioni comportamentali e disturbi del sistema nervoso.
- Respiratorie: l’inalazione di particelle di plastica, soprattutto durante la combustione, può causare bronchiti croniche, asma e altre malattie polmonari.
- Patologie neonatali: l’esposizione prenatale a microplastiche e interferenti endocrini può influire sullo sviluppo del feto, aumentando il rischio di nascite pretermine e basso peso alla nascita.
Qui trovate la campagna dell’ISDE sui danni alla salute della plastica. Sono indicate anche:
- Criptorchidismo
- Effetto “obesogeno” favorente la resistenza all’insulina e l’insorgenza di diabete di tipo 2
- Effetti infiammatori con alterazione della microflora intestinale e possibile interferenza sull’assorbimento di nutrienti
Esposizione alla plastica e malattie cardiovascolari
Uno studio condotto in Italia e pubblicato sul New England Journal of Medicine ha evidenziato la presenza di microplastiche all’interno delle placche aterosclerotiche nelle arterie carotidee di pazienti sottoposti a endoarteriectomia.
I ricercatori, guidati dal cardiologo Giuseppe Paolisso, hanno analizzato il materiale rimosso durante l’intervento chirurgico, trovando particelle di plastica in molti dei casi esaminati. Polietilene e cloruro di polivinile sono stati identificati come le plastiche più frequenti, suggerendo una correlazione tra l’accumulo di microplastiche nei vasi sanguigni e un aumento del rischio di ictus, infarto e morte prematura.
Lo studio ha coinvolto oltre 300 pazienti, seguiti per un periodo di due o tre anni. I risultati hanno mostrato che coloro che avevano microplastiche nelle placche arteriose avevano una probabilità quattro volte superiore di subire eventi cardiovascolari gravi rispetto a chi non presentava queste particelle.
Esposizione alla plastica e disturbi endocrini
Un altro aspetto preoccupante riguarda i disturbi endocrini. Gli interferenti endocrini, come i bisfenoli e gli ftalati, sono in grado di alterare il sistema ormonale, causando problemi riproduttivi e metabolici. Questo è particolarmente evidente nelle donne in gravidanza, dove l’esposizione a queste sostanze può influire negativamente sullo sviluppo del feto.
Il bisfenolo A (BPA), ampiamente utilizzato nella produzione di contenitori rigidi, è un noto interferente endocrino capace di imitare gli ormoni naturali. Studi hanno collegato il BPA a disturbi del sistema riproduttivo, diabete, obesità e cancro. Un rapporto pubblicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato che il BPA è presente nel 92% degli europei, sottolineando la sua ubiquità e pericolosità. Qui una ricerca sul BPA e gli effetti sulla salute umana.
Gli ftalati, impiegati per rendere la plastica flessibile, sono stati associati a problematiche simili, come la riduzione della qualità dello sperma e l’abortività precoce.
Un recente studio pubblicato sulla rivista della Società Americana di Endocrinologia ha rivelato che la maggior parte degli interferenti endocrini assorbiti dal corpo umano deriva dalla plastica. Questo studio ha stimato che nel solo 2018, negli Stati Uniti, le malattie legate alla plastica hanno comportato un costo di circa 250 miliardi di dollari, evidenziando l’enorme impatto sociale ed economico.
Esposizione alla plastica e cancro: le evidenze scientifiche
L’acido perfluoroottanoico (PFOA) e il perfluorottano sulfonato (PFOS), due tra i più studiati PFAS, sono stati classificati dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro come cancerogeni o possibili cancerogeni per l’uomo. Le ricerche mostrano che queste sostanze sono correlate a tumori del rene e dei testicoli, oltre a disordini metabolici e malattie alla tiroide.
Il cloruro di vinile, utilizzato nella produzione del PVC, è stato collegato a tumori del fegato, mentre gli IPA presenti nei fumi della plastica bruciata sono noti cancerogeni. I PFAS, come già accennato, sono associati a tumori del rene e dei testicoli.
Esposizione alla Plastica e salute neonatale
Le microplastiche rappresentano una minaccia anche per i neonati e i bambini. Uno studio ha trovato queste particelle nella placenta umana, suggerendo che possano interferire con lo sviluppo fetale. Gli interferenti endocrini inoltre causano nascite pretermine, basso peso alla nascita e alterazioni neurologiche nei bambini.
Come ridurre l’esposizione alla plastica?
Per limitare i rischi legati alla plastica, è necessario adottare comportamenti preventivi. Una campagna dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE Italia) raccomanda di evitare l’uso di contenitori in plastica per alimenti e di preferire materiali come il vetro. Inoltre, è consigliabile non riscaldare cibi in plastica nel microonde, poiché questo aumenta il rilascio di sostanze tossiche.
Le autorità hanno introdotto regolamenti per limitare l’uso di sostanze pericolose come i PFAS e il bisfenolo A. L’implementazione delle norme è lenta e la mancanza di alternative sicure in molti settori grava su di essa.
Raccomandato inoltre non utilizzare bottiglie di plastica per l’acqua, preferendo quelle di vetro. Lo stesso dicasi per le pellicole per la conservazione dei cibi e per i cibi venduto in contenitori di plastica. Purtroppo sono poche le aziende che hanno sostituito i contenitori in plastica con vasetti in vetro o in carta reciclata.