UNO STUDIO TEDESCO SUGGERISCE CHE ESSERE STAR DELLA MUSICA POTREBBE FARE MALE QUANTO FUMARE: LE CELEBRITÀ ANALIZZATE NELLO STUDIO MUOIONO IN MEDIA QUATTRO ANNI PRIMA DEI LORO COLLEGHI NON FAMOSI. LA FAMA EMERGE COME UN FATTORE DI RISCHIO AUTONOMO, PARAGONABILE AL FUMO OCCASIONALE O ALLA VITA SEDENTARIA.
La domanda è antica quanto il mito delle rockstar: la fama consuma? Rende più longevi o accorcia il tempo?
Per decenni abbiamo attribuito la fragilità delle celebrità a stili di vita eccessivi, notti insonni, pressioni creative, dipendenze o ritmi lavorativi estremi. Tuttavia, un nuovo studio pubblicato sul Journal of Epidemiology & Community Health mette in discussione questa lettura semplificata e apre uno scenario più sorprendente: potrebbe essere la fama stessa, indipendentemente dal resto, a rappresentare un fattore di rischio per la salute.
Il lavoro, condotto dall’Università Witten/Herdecke in Germania, analizza la vita di 648 cantanti, divisi equamente tra star di fama internazionale e colleghi rimasti fuori dal grande successo. E la conclusione colpisce per la sua chiarezza: le celebrità muoiono in media quattro anni prima dei loro omologhi non famosi.
Non si tratta di differenze minime, né di una curiosità statistica. Il rischio associato alla fama, spiegano gli autori, è paragonabile al danno di salute provocato dal fumo occasionale, che aumenta la mortalità del 34%. Ed è un rischio che compare solo dopo il raggiungimento della notorietà, non prima.
Fama: un fattore di rischio
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Per evitare conclusioni affrettate, i ricercatori hanno impostato uno studio rigoroso. Hanno attinto al database Top 2000 Artists of All Time di acclaimedmusic.net – basato non su vendite o popolarità tra il pubblico, ma su valutazioni di critici e professionisti – e hanno selezionato 324 cantanti celebri, abbinandoli a 324 artisti non famosi ma perfettamente sovrapponibili per:
– anno di nascita
– sesso
– nazionalità
– etnia
– genere musicale
– ruolo artistico (solista o membro principale di una band)
Questo confronto “speculare” ha permesso di isolare il fattore fama da tutti gli altri elementi culturali o professionali. Solo così è stato possibile osservare un fenomeno netto:
i cantanti famosi vivevano in media fino a 75 anni, quelli non famosi fino a 79.
Una differenza che gli studiosi definiscono «coerente e significativa».
La fama come rischio biologico e psicologico: perché accorcia la vita?
Lo studio non indaga direttamente le cause fisiologiche, ma i ricercatori delineano alcune ipotesi credibili, frutto di decenni di ricerche sul benessere psicofisico delle celebrità. La fama, affermano, può trasformarsi in un ambiente ostile, dove pressione, esposizione pubblica e perdita di privacy diventano parte della quotidianità.
Tra i fattori più rilevanti:
1. Stress cronico da visibilità permanente
La notorietà porta con sé un monitoraggio costante: fan, media, social, critiche, aspettative. Lo stress continuo attiva ripetutamente il sistema neuroendocrino, aumentando cortisolo, infiammazione sistemica e rischio cardiovascolare.
2. Ritmo di lavoro irregolare e privazione del sonno
Tour massacranti, jet lag, registrazioni notturne e impegni promozionali rendono il recupero quasi impossibile. Il sonno alterato è associato ad aumento di mortalità, diabete, depressione e malattie cardiache.
3. Pressione identitaria e vulnerabilità emotiva
La distanza tra “persona reale” e “personaggio pubblico” può generare ansia, fragilità e un senso di isolamento che gli studi psicologici hanno descritto più volte. Statisticamente, le star della musica mostrano tassi più alti di dipendenze e disturbi dell’umore.
4. Scelte di coping rischiose
Sebbene il nuovo studio non attribuisca la mortalità allo stile di vita, è noto che molti artisti cercano sollievo attraverso alcol, sostanze o comportamenti impulsivi, che nel lungo periodo influenzano la salute generale.
5. Mancanza di rete sociale “autentica”
La fama altera i rapporti umani: è difficile capire chi sia amico, chi sia interessato, chi sia affidabile. L’isolamento sociale è un noto fattore di rischio per mortalità precoce, paragonabile all’obesità.
L’effetto “dopo la fama”: un punto chiave dello studio
Uno degli aspetti più interessanti è che il rischio non precede la celebrità, ma emerge solo dopo averla raggiunta.
I ricercatori hanno escluso l’ipotesi inversa – che morti precoci rendano più celebri gli artisti – dimostrando che la curva di rischio cresce nel tempo, seguendo la carriera.
Significa che non è la personalità a essere pericolosa, né il talento. È l’ambiente della celebrità a modificare progressivamente vulnerabilità e salute.
La fama come fattore di rischio: una provocazione utile
Lo studio apre una discussione più ampia sulla natura della fama nel mondo contemporaneo.
Oggi diventare celebri è un’aspirazione diffusa, alimentata dai social, dove riconoscibilità e visibilità sembrano sinonimi di successo e realizzazione personale. Ma i dati ci ricordano che la celebrità non è un bene innocuo: porta benefici economici e creativi, ma espone a dinamiche psicologiche e ambientali che possono minare la salute.
Gli autori suggeriscono di considerare la fama un rischio professionale vero e proprio, non diverso da quello degli atleti, dei lavoratori esposti a sostanze nocive o di chi opera in ambienti ad alta tensione emotiva.
E nel futuro? Cosa può cambiare
Le conclusioni dello studio non sono un verdetto definitivo, ma una base su cui costruire ulteriori ricerche. Servirà approfondire:
– quali elementi specifici della vita da star risultano più nocivi
– se il rischio varia in base al genere musicale
– come incidono epoca storica, tipo di carriera, presenza di staff di supporto
– in che modo i nuovi modelli di celebrità digitale modificano l’esposizione al rischio
Tuttavia, una certezza emerge con forza: la fama, da sola, può comportare un prezzo biologico e psicologico.
Oltre il mito del “vive veloce, muore giovane”
La cultura pop ha spesso romanticizzato il destino tragico delle star: dal “Club 27” alle biografie segnate da eccessi e fragilità. Lo studio tedesco ci invita invece a guardare oltre il mito, riconoscendo che dietro la leggenda c’è un fenomeno reale e misurabile: la celebrità genera stress sistemico, con conseguenze quantificabili sull’attesa di vita.
Non è un invito a temere il successo, ma a riflettere sulla necessità di un supporto più strutturato per chi vive sotto i riflettori, dagli artisti affermati ai giovani emergenti che si muovono in un ambiente sempre più competitivo e mediatizzato.
In una società che corre dietro alla visibilità, ricordare che la fama può “far male come il fumo” è più di una provocazione: è un modo per rimettere al centro la qualità della vita, la salute mentale e la possibilità di costruire carriere artistiche sostenibili e umane.
